Biologico, ecco perché i consumi in Italia non decollano
L’Italia è il primo Paese Ue per trasformatori e il terzo per superficie ma il fatturato è solo il 3,2% del food and beverage a causa delle scarse conoscenze, prezzi troppo alti e packaging non adeguato
di Manuela Soressi
3' di lettura
Biologico, la parola (da sola) non basta più per convincere gli italiani del valore dei prodotti alimentari dotati di questa certificazione: in un anno hanno perso l’1,1% di fatturato, fermandosi a 3,9 miliardi di euro (fonte Nomisma/NielsenIQ). Il bio rappresenta solo il 3,2% del giro d’affari complessivo del food&beverage. Poca cosa per l’Italia, prima nella Ue per numero di trasformatori biologici e terza per superfici.
Ne produciamo tanto di bio, ma ne consumiamo poco perché spesso non lo conosciamo e non siamo in grado di riconoscerne il valore. Secondo Nomisma, il 60% dei consumatori vorrebbe informazioni più dettagliate sulle caratteristiche, sul metodo di produzione e sui valori nutrizionali degli alimenti bio. Ma anche sulla distintività del biologico rispetto al convenzionale e sulla sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
L’esigenza di trasferire al consumatore in modo più efficace le peculiarità del biologico sembra necessaria anche per difenderlo dalle “incursioni” di altre caratteristiche dei prodotti alimentari che si stanno appropriando di parte dei suoi valori. Come “residuo zero” o come “filiera”, artefice di una crescita rapida del giro d’affari (+8,3% annuo), superiore a 1,2 miliardi di euro solo in super e ipermercati (fonte Osservatorio Immagino).
«In effetti negli ultimi anni sono nati molti claim che parlano di sostenibilità ma sono ben diversi dal biologico, che è una certificazione regolamentata e riconosciuta dalla Ue. Spesso si tratta di dichiarazioni “vuote” se non di vero e proprio greenwashing – commenta Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio –. Per questo siamo impegnati in campagne informative, come Being Organic in Ue, per spiegare l’approccio circolare dell’agricoltura biologica e sottolineare i benefici degli alimenti biologici non solo per la salute umana anche per quella del suolo, e quindi per l’ambiente».
Sulla carta i prodotti biologici rispondono alle richieste di maggiore sostenibilità del food espresse dai consumatori. Ma spesso le confezioni in cui sono venduti non sono altrettanto green. Un paradosso dettato dalla necessità (prevista dalla Ue) di distinguere il bio dal convenzionale e riconosciuto anche da Federbio, che sta lavorando a favore dell’adozione di packaging sostenibili e compostabili. Una carta importante da giocare per conquistare i consumatori più eco-attenti e ampliare il parco consumatori, oggi limitato visto che solo il 30% degli italiani acquista spesso prodotti bio.
Su questo dato pesano lo sbilanciamento dell’offerta sui prodotti tradizionali e la limitata presenza del bio nei segmenti più dinamici del food & beverage, come il “salutistico”. Il 53% degli italiani si dice insoddisfatto dell’assortimento di proposte bio ready to eat e per alcuni prodotti (come la carne) l’offerta è troppo limitata rispetto alla domanda. «La Gdo ci ha messo la faccia valorizzando il settore, ma spesso l’offerta e l’assortimento restano limitati e in molti casi non è possibile acquistare una spesa bio completa», sottolinea Roberto Zanoni, presidente di AssoBio.
A tutto questo si aggiunge, poi, il fattore prezzo: il bio costa in media il 20% in più del convenzionale e, in genere, resta nella fascia del premium price. Questo lo penalizza in un momento come questo caratterizzato dall’attenzione al costo del carrello della spesa e dalla ricerca della convenienza. Solo un consumatore su due si dice soddisfatto del pricing e del livello di offerte e promozioni, che in un anno sono diminuite del 2,1% e che oggi rappresentano solo il 16% delle vendite contro il 21,7% del totale food.
«Il bio sconta un costo maggiore all’origine, in particolare nella fase agricola, a cui si aggiungono i costi delle certificazioni, e questo si trasferisce anche sul consumatore – ammette Mammuccini –. Per abbassare i costi della filiera, senza intaccare i valori del biologico, occorre portare a credito d’imposta il costo delle certificazioni e abbassare l’Iva sui prodotti biologici, come stiamo chiedendo da tre anni. Finora inutilmente».
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