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Le regole della Crusca per nomi e professioni negli atti giudiziari

Niente articolo davanti al nome, sì alle professioni declinate al femminile. Stop anche alla schwa - la “e” capovolta. E pollice verso anche per “i cittadini e le cittadine”

di Patrizia Maciocchi

(Carino Carlo)

2' di lettura

Niente articolo davanti al nome, sì alle professioni declinate al femminile, stop alla schwa - la “e” capovolta quando si parla di chi non si riconosce nell'identità binaria. Il Comitato pari opportunità del Consiglio direttivo della Cassazione, ha chiesto lumi all’Accademia della Crusca per scrivere atti giudiziari rispettosi della parità di genere.

E i linguisti hanno risposto, salvando le “pari opportunità” ma anche la lingua italiana, che deve essere compresa da tutti. Gli accademici hanno detto no agli asterischi e all’articolo davanti al nome (“la Meloni”, “la Schlein”). Pollice verso anche per le reduplicazione retoriche (“i cittadini e le cittadine”, “le figlie e i figli”). È corretto, come era già stato anticipato dagli studiosi, il femminile quando si riferisce ai nomi delle professioni. E dunque via libera a: magistrata, avvocata, difensora, pubblica ministero, cancelliera, brigadiera, procuratrice, questora. Va invece bandito dagli atti giudiziari, «l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato».

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No all’asterisco al posto delle desinenze

È il caso dell’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (car* amic*, tutt*). «La lingua giuridica - afferma la Crusca - non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto. In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza - sottolinea l’Accademia - di quello che effettivamente è un modo di includere e non di prevaricare». Il no all’uso dell’articolo davanti al cognome non conosce eccezioni neppure nel caso di uomini illustri. “Il” cade dunque anche nel caso di Manzoni . Pur non condividendo la tesi “scarsamente fondata” di chi ritiene discriminatorio l’utilizzo dell’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne così come degli uomini, l’Accademia constata però che «questa opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto». Allora, per garantire l’informazione completa, specie nel caso di nomi poco noti, «sarà sufficiente aggiungerne il nome al cognome, o eventualmente la qualifica (la presenza di Maria Rossi oppure la presenza della testimone Rossi).

Da dimenticare anche la schwa

Da dimenticare anche la schwa dell’alfabeto fonetico internazionale, che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, ma non presente in italiano, osservano i linguisti. La lingua - dicono - «è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di una priorità agli occhi di molti linguisti, e a esso la scrittura deve corrispondere il più possibile». Dunque «è da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Da abolire quindi l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…). Lo stesso vale per lo scevà o schwa, la e capovolta dell’alfabeto fonetico internazionale che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non presente in italiano, ma utilizzata in alcuni dialetti della Penisola.

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