Gli impegni del Pnrr e l’ombra lunga delle elezioni politiche
di Dino Pesole
3' di lettura
Collocata momentaneamente in soffitta per effetto della pandemia e della sospensione dei vincoli europei, ecco riapparire nei programmi del governo la spending review. Programma ambizioso di riqualificazione della spesa pubblica, che ora rientra ufficialmente negli impegni che occorre onorare da qui al 2026 per accedere ai fondi del Next Generation Eu. Vi si fa esplicito riferimento nella relazione inviata al Parlamento lo scorso 23 dicembre, e la spending review viene inserita tra le riforme settoriali di “controllo della spesa”. Si procederà a tappe: il percorso di attuazione verrà tracciato nel Documento di economia e finanza in arrivo per metà aprile. Poi i relativi provvedimenti dovranno essere inseriti nella prossima legge di bilancio, con effetti dunque sui saldi di finanza pubblica. Con quale reale possibilità di successo?
Prima considerazione: un programma serio e credibile di revisione strutturale della nostra spesa pubblica dovrebbe essere avviato all’inizio della legislatura. Occorre proiettarlo su un orizzonte pluriennale, e monitorarne l’attuazione in progress. Ora ci si arriva nell’ultimo scorcio di attività dell’attuale Parlamento, con le forze politiche (in particolare Lega e M5S) che al contrario spingono per ulteriori scostamenti di bilancio.
Seconda considerazione: riqualificare la nostra spesa pubblica è operazione doverosa, ma occorre una notevole e coesa volontà politica per portarla a compimento. Si riuscirà quanto meno ad avviare il percorso di revisione nell’anno che precede le elezioni? Lo abbiamo raccontato nel 2018 in un saggio scritto con Mario Baldassarri: intervenire sui processi di formazione della spesa costa in termini di consenso. Le stime più recenti indicano in 893 miliardi il totale della spesa pubblica nel 2021 (940 miliardi comprensivi delle spese in conto capitale, al netto della spesa per interessi che ammonta a oltre 60 miliardi). Si può e si deve intervenire, come ci invita a fare la Commissione europea, che non a caso, nel “promuovere” i nostri conti pubblici lo scorso novembre, ha posto nuovamente l’accento sulla necessità di ridurre «la spesa corrente finanziata a livello nazionale».
Nel maggio del 2012, l’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, stimò in circa 100 miliardi la spesa pubblica «potenzialmente aggredibile». Carlo Cottarelli, commissario alla spendingreview nel governo Letta e nella prima parte del governo Renzi, presentò nel marzo del 2014 un dettagliato elenco di possibili interventi: dalla riforma degli acquisti di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni al riordino del pubblico impiego e delle società partecipare. Infine il taglio delle agevolazioni fiscali (602 voci secondo quanto censito dalla commissione Maré). Ma già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso Beniamino Andreatta aveva provato a impostare un credibile percorso di riduzione della spesa, che sarà ripreso nel 2006 da Tommaso Padoa-Schioppa con l’obiettivo di ragionare per programmi di spesa e per missioni e non intervenire con “tagli” sugli incrementi tendenziali programmati. Ben poco delle proposte allora avanzate dalla Commissione per la spesa pubblica presieduta da Gilberto Muraro venne realizzato sui cinque ministeri esaminati: Giustizia, Infrastrutture, Interno, Pubblica istruzione e Trasporti. Della trasposizione in ambito pubblico dell’approccio del “bilancio a base zero” nessuna traccia visibile.
La stagione dei commissari alla spending review inaugurata dal governo Monti, che chiama a palazzo Chigi nell’aprile del 2012 Enrico Bondi, prosegue con l’allora Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, che cede il passo nel 2013 a Cottarelli il quale chiude la sua esperienza nell’ottobre del 2014 lasciando in eredità un rapporto che puntava a realizzare per 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017. Poi arriva nel marzo 2015 Yoram Gutgeld, affiancato per pochi mesi da Roberto Perotti. Breve apparizione anche per Francesco Giavazzi che nel luglio del 2012 aveva proposto di ridurre di oltre 10 miliardi i contributi a fondo perduto alle imprese.
Ora si riparte, senza commissari, ma con l’Europa che vigila. Sarà la volta buona? Nell’immediato, il presidente del Consiglio, Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco faticheranno non poco a tenere a freno le richieste di ulteriore ricorso all’indebitamento provenienti da buona parte della maggioranza. Ora motivate dall’esigenza di far fronte al caro bollette. Man mano che si avvicineranno le elezioni per piantare questa o quella “bandierina”. Ciclo elettorale di spesa, si chiamava un tempo. Piuttosto, occorrerebbe concentrarsi al massimo sulla puntuale attuazione del Pnrr.
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