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La prima mostra dell’attivista visuale Muholi Zanele al Mudec di Milano offre ad un pubblico più vasto la possibilità di apprezzarne il lavoro e le opere, ma anche di indagare la relazione tra alcuni temi cari all’artista, come razzismo, eurocentrismo, femminismo, autodeterminazione, e la storia più recente dell’Italia e dei flussi migratori che attraversano il vecchio continente.
Era il 1989 quando un giovane richiedente asilo e attivista sudafricano, fuggito dal regime dell’apartheid, veniva assassinato nelle campagne di Villa Literno, in provincia di Caserta, per aver resistito al furto del proprio stipendio, mentre lavorava senza alcuna tutela come bracciante agricolo. Allora, la popolazione immigrata censita si attestava sulle quattrocentomila presenza circa e le vigenti leggi prevedevano la possibilità di riconoscere la protezione internazionale esclusivamente a chi proveniva dall’est Europa. Furono le imponenti mobilitazioni che seguirono al brutale assassinio di Jerry Essan Masslo che spinsero il governo ad abolire la riserva geografica.
Purtroppo ancora oggi che le migrazioni vengono riconosciute come un fenomeno strutturale, che oltre il 50% degli ingressi in Italia avviene per ricongiungimento familiare, più del 21% per ragioni di lavoro e solo il 13% circa per richiesta di asilo (Istat), dopo innumerevoli riforme, l’Italia è ancora sprovvista di una legge organica che disciplini, oltre all’opportunità di farvi ingresso, percorsi agevoli che garantiscano l’inclusione nel tessuto sociale, l’accesso ai diritti fondamentali (scuola, lavoro, salute, casa), la rappresentanza e l’acquisizione della cittadinanza.
Lavoratori e lavoratrici straniere ricoprono prevalentemente ruoli e mansioni a basso tasso di qualificazione, spesso anche quando hanno un’istruzione universitaria, sono pagate meno e corrono maggiori rischi di finire in povertà, di perdere il lavoro, così come è avvenuto durante la
pandemia (-34%), e quindi di diventare irregolari, sebbene in Italia siano proporzionalmente più attive, 64,7% contro il 46,6 (Ilo) della popolazione italiana, e siano occupate in settori strategici, servizi, logistica, edilizia, e definite recentemente essenziali, cura della persona e agricoltura.
Muholi dichiara in una sua intervista che «alla base dell’intolleranza, del razzismo e della violenza c’è l’ignoranza, alla quale si può porre un limite solo attraverso l’istruzione», ed è in parte probabilemnete vero che esiste una relazione diretta tra il crescente clima di intolleranza, il frequente ricorso a toni allarmistici e la mancanza di approfondimenti offerti dalla televisione sul sistema dei flussi migratori globali, in un Paese in cui il pubblico s’informa principalmente attraverso le reti generaliste, e in cui un’indagine di Eurispes rileva che oltre la metà delle persone interviste in Italia crede che la presenza degli immigrati corrisponda al 24% della popolazione, mentre è poco più dell’8 per cento.
Per questo, la rilevanza che assume il corpo nero nel percorso politico e artiscico di Muholi Zanele, assume particolare importanza oggi in Italia e in Europa, colma un’assenza, così come ha fatto l’eco globale prodotto dall’uccisione di George Floyd, riarticola un discorso restituendo dignità alla presenza di una componente del corpo sociale. Oggi che le politiche di esternalizzazione delle frontiere europee ridefiniscono anche i rapporti tra le popolazioni all’interno dei Paesi nord africani, generando ulteriori tensioni sociali, alimentando fratture che si attestano sulla linea del colore, l’emersione del corpo nero come soggettività è anche un monito per l’Europa e i suoi governanti, perché recuperino capacità analitiche e abbandonino retoriche suprematiste ottocentesche. Nel 2040 circa un neonato su due sarà africano (UN).
L’Africa rappresenta il continente territorialmente più esteso, al cui interno si muove il più elevato numero di persone che migrano da una regione all’altra, per ragioni prevalentemente legate a condizioni ambientali proibitive e catastrofi naturali. In questo quadro ancora non risulta leggibile una politica comune ed europea che favorisca accordi di parteniarato economici orientati a ridurre le diseguaglianze interne al continente e tra i due continenti, a partire dal debito, dalle dotazione di infrastrutture fisiche primarie e infrastrutture sociali, e dal favorire la crescita degli scambi interni, non esclusivamente importazioni ed esportazioni verso l’esterno. La sfida che attende l’Europa come vicino più prossimo è sicuramente culturale, ma senza il concorso di istituzioni economiche e politiche la dimensione strutturale delle disuguaglianze non potrà essere intaccata.
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