Gli svizzeri vogliono sfruttare le infrastrutture del Carbosulcis
Un gruppo che sta realizzando impianti di accumulo gravitazionale in America e in Cina si è fatto avanti per ottenere il pozzo di i Nuraxi Figus dove è in corso uno studio per produrre Argon-40
di Davide Madeddu
3' di lettura
Occhi e interesse straniero sulla miniera di carbone, aperta ma non più attiva, di Nuraxi Figus. Non per riavviare la produzione ma per sfruttare l’infrastruttura, realizzata nel corso di decenni, e produrre energia. «Proprio in questi giorni si è avviata una interlocuzione con un gruppo imprenditoriale svizzero per i cosiddetti accumuli gravitazionali – dice Francesco Lippi, amministratore unico di Carbosulcis, l’azienda regionale titolare della concessione mineraria –. Si tratta di un’azienda che sta realizzando impianti di accumulo gravitazionali in America e Cina che sta verificando la compatibilità con le infrastrutture ex minerarie Carbosulcis, in particolare pozzo Nuraxi Figus e discenderia». Ossia l’infrastruttura formata da una discenderia camionabile lunga 3 chilometri e che arriva sotto il livello del mare. E dai pozzi in a una profondità che sfiora il mezzo chilometro. Dai pozzi che si spingono sino a mezzo chilometro di profondità nelle cui verticali si muovono gli ascensori chiamati “gabbie”. «La discussione è ancora alle fasi iniziali – aggiunge il manager – entro breve tempo però ci sarà anche un incontro per approfondire. Di certo c'è un forte interesse per la parte infrastrutturale dell'intero sito industriale».
Non è certo un caso che da qualche tempo, nella stessa miniera, stia andando avanti il progetto Aria. Ossia il programma per lo studio che con la distillazione dell’aria del sottosuolo potrà produrre argon-40, ossigeno-18 e altri elementi per lo studio della materia oscura utilizzando la verticale dei pozzi della miniera di Carbone del Sulcis.
Il sistema, che fa parte del progetto con cui operano conginutamente Infn, università e altri enti, funziona attraverso una sorta di alambicco che dovrebbe servire a distillare l'aria e ricavare quindi gli isotopi. Il progetto mette assieme l'Istituto nazionale di fisica nucleare, l'università di Cagliari, quella di Princeton. Nello stesso sito minerario, inoltre, l'azienda ha attivato le procedure per un'altra iniziativa. Quella di trasformare le gallerie chiuse in serbatoi per l'aria compressa da utilizzare successivamente per produrre energia. «Su questo fronte siamo ancora in fase di studio – aggiunge il manager –. I nostri tecnici, assieme ai ricercatori del politecnico di Torino sono al lavoro per costruire le condizioni e quindi predisporre uno studio e un progetto più definito».
Che le infrastrutture minerarie, una volta dismessa la produzione, possano trasformarsi in occasioni per nuove iniziative industriali o di ricerca, è convinto Fabio Granitzio, geologo minerario con esperienza in campo internazionale. «Gli scavi minerari in sotterraneo sono il risultato di enormi investimenti realizzati per raggiungere giacimenti minerari e poterli estrarre – premette Fabio Granitizio–. Una volta abbandonate, se in buone condizioni, queste preziose infrastrutture hanno numerosi potenziali utilizzi, in alcuni casi davvero unici e insostituibili». Uno su tutti, come sottolinea il geologo, i grandi esperimenti di fisica. «Le rocce che sovrastano scavi profondi hanno la capacità infatti di schermare la costante “pioggia” di particelle cosmiche che investe la superficie della terra – aggiunge –. Ecco qui che per identificare particelle sfuggenti, come quelle che costituiscono la materia oscura, è necessario usare strumenti sofisticati, e sensibili, collocati in contesti privi del disturbo rappresentato dalle altre particelle». Un’altra delle opportunità è quella di sistemare gli accumulatori di prossima generazione in galleria. «Per il momento il progetto è in fase di studio in alcuni centri minerari europei – aggiunge Granitzio – e si pensa a un suo impiego anche in Italia».
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