Governo al lavoro per calmierare i costi delle bollette. Partita da almeno 2 miliardi
Nuove misure in arrivo per raccogliere risorse da utilizzare per calmierare i costi delle bollette, ma gli incassi potrebbero essere inferiori alle attese
di Laura Serafini
4' di lettura
Spremere liquidità dagli “extraprofitti” che i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili possono ricavare, vendendo al prezzo marginale dell’energia prodotta con il gas, non è un esercizio semplice.
Il governo è al lavoro su questo e ieri anche il Pd ha chiesto l’adozione di nuove misure. Mentre per mercoledì Giancarlo Giorgetti, ministro per lo Sviluppo economico, ha convocato il tavolo con le imprese sul caro-energia. Calare dall’alto, però, balzelli orizzontali che colpiscano indistintamente tutti si è già rivelato dannoso e a rischio di incostituzionalità in Spagna. Individuare in modo consensuale con gli operatori una soglia di prezzo sostenibile, oltre la quale dare un contributo per supportare imprese e famiglie in difficoltà, è molto macchinoso e richiede un sistema puntuale di verifiche a fronte di autocertificazioni di produttori e venditori. Proprio come si sta facendo nella penisola iberica.
A fronte di tutto questo, è elevata la probabilità che gli incassi siano inferiori alle attese, meno di quanto già speso dallo Stato per calmierare le bollette. Una cifra molto approssimativa potrebbe attestarsi nell’immediato attorno a 2 miliardi su base annua: anche se è difficile da calcolare a priori, senza contratti alla mano, perché dipende da quanto gli operatori effettivamente hanno venduto ai prezzi di mercato delle ultime settimane (quando sono stati raggiunti picchi di 200 euro a megwattora contro i 50-60 euro di media degli ultimi 5 anni) e non con contratti di lungo termine.
Bisogna poi tenere conto del fatto che quel surplus guadagnato è soggetto a una tassazione di circa il 30%, per cui tolti i 600 milioni che sarebbero comunque incassati, dallo Stato, la cifra incrementale resta di 1,4 miliardi. Molto dipende da quale anno di produzione si prende a riferimento: l’energia generata nel 2022 o anche nel 2023? Il bacino al quale attingere cambia in modo sensibile. L’ambito nel quale cercare gli extraprofitti non è poi così ampio: sui circa 290 terawattora (Twh) prodotti in Italia, l’ambito al quale guardare è la generazione idroelettrica, pari a 48 Twh, ma dalla quale vanno scalati diversi Twh prodotti con i pompaggi (equiparabili per i costi alla generazione termoelettrica). Assumiamo 40 terawattora. E poi c’è il solare: più che altro gli impianti fotovoltaici più vecchi, incentivati con i vecchi “conto energia”. Qualcosa tra 10 e 20 Twh.
In ogni caso bisogna distinguere tra chi vende con contratti di lungo termine a prezzo fisso (e cioè la maggioranza) e chi vende sul mercato a prezzi spot. Questa differenza la si può scoprire solo chiedendo agli operatori di autocertificare modalità di acquisto e prezzi applicati a una certa data. I fotovoltaici incentivati con i “conto energia” beneficiano di un sostegno di 300 euro a mwh al quale si aggiunge il prezzo, che sia quello di un contratto a lungo termine o del prezzo che si forma day by day. In teoria c’è chi può aver venduto a prezzi molto alti nelle ultime settimane: se assumiamo un prezzo di 150 euro, ad esempio, per 20 Twh fa 3 miliardi, a fronte di piani industriali costruiti su prezzi più bassi; ad esempio con 60 euro a mwh si avrebbero ricavi per 1,2 miliardi. In linea del tutto teorica il differenziale di 1,8 miliardi potrebbe essere considerato extraprofitto: c’è una buona parte con contratti a prezzo fisso fatti un anno prima però. La risposta probabilmente è una via di mezzo.
E, comunque, chi oggi si avvantaggia dei prezzi alle stelle, ha pianto nel 2020, quando i lockdown e il crollo della domanda hanno portato i prezzi di vendita vicini allo zero. Questi calcoli valgono se si tiene conto dell’energia prodotta nel 2022. Il settore idroelettrico è nel mirino perché i costi di gestione degli impianti oscillano tra 15 e 60 euro a mwh: se si considera un costo medio di 30 e un prezzo di vendita di 150, a fronte dei 40 Twh, ci sarebbero ricavi per 6 miliardi e costi per 1,2 miliardi, con profitti extra per 4,8 miliardi. Peccato che nella gran parte dei casi la produzione 2022 sia stata venduta un anno fa con prezzi medi attorno a 60 euro: 2,4 miliardi con un differenziale che si assottiglia a 1 miliardo. Eventualmente, quindi, si dovrebbe guardare ai contratti che si chiudono ora per la produzione del 2023: ma il gioco non è semplice, perché chi compra ora con i contratti a un anno comincia a temere che possano scendere i prezzi e non vuole restare lui con il cerino in mano.
L’Enel gestisce impianti idroelettrici in Italia che producono 15 Twh: la produzione 2022 è stata in gran parte venduta un anno fa a circa 60 euro, dunque con ricavi per 900 milioni e potenziali margini di 450 milioni. «Con misure di questo tipo – osserva Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura –. Il rischio è che per prendere cento si possa avere un danno di mille per la minore valorizzazione delle aziende (molte partecipate dallo Stato). Tale scelte fanno diminuire l’interesse a investire in Italia, riducendo la concorrenza e facendo alzare costi. Per abbassare stabilmente il costo dell’energia bisgona accelerare con le rinnovabili, come ha affermato anche il presidente della Bce Lagarde».
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