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Governo, Salvini vuole aprire un rimpasto ma Draghi tira dritto

Il caso Giorgetti è chiuso: «Contiamo su di lui», è l'unico commento che arriva da Palazzo Chigi. Ma si riaccendono voci su possibili cambi nella squadra di Governo

di Barbara Fiammeri

Quirinale, Conte: "Draghi non poteva spostarsi al Quirinale con emergenza in atto"

3' di lettura

Quando l’agenzia Agi batte la notizia delle possibili dimissioni dal Governo del capodelegazione della Lega e ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, il Mattarella bis era già (quasi) cosa certa. Mario Draghi aveva parlato con i leader dei partiti di maggioranza e si era confrontato con il Presidente da cui aveva ricevuto la disponibità ad andare avanti. Il quadro quindi era definito e il premier si avviava verso l’autostrada per raggiungere Città della Pieve e pranzare con la moglie lontano dai veleni della Capitale, nella quale rienterà nelle prossime ore per ripartire con i motori al massimo. La rielezione di Sergio Mattarella - ha poi commentato il premier in serata, subito dopo il voto - è una splendida notizia per gli italiani. Sono grato al Presidente per la sua scelta di assecondare la fortissima volontà del Parlamento di rieleggerlo per un secondo mandato».

L’abbandono ventilato da uno dei principali esponenti del Governo lo ha colto decisamente di sorpresa. Anche perché Giorgetti è tra i più vicini a Draghi. Tanto che qualcuno sussurra che l’uscita del ministro (Dimissioni? «È un’ipotesi, magari c’è da migliorare la squadra...», aveva risposto Giorgetti alla Camera) fosse legata alla delusione per la mancata ascesa al Colle dell’attuale presidente del Consiglio che era stato tra i primi a preconizzare. Un chiarimento telefonico è bastato a far rientrare il possibile addio. Poco dopo infatti il numero due del Carroccio preciserà che le dimissioni non sono sul tavolo e, al termine di un lungo incontro con Matteo Salvini, lo stesso leader del Carroccio annuncerà di aver concordato per domani con Draghi un incontro a tre a Palazzo Chigi. «Il governo lavora benissimo e va avanti, ma serve un codice di comportamento», dirà poi Giorgetti confermando che domani sarà al lavoro. Il ministro dello Sviluppo sembra volersi far carico di preoccupazioni che non sono certo solo sue. «L’anno prossimo, se non lo sapete ve lo ricordo io, ci sono le elezioni amministrative, dei referendum abbastanza divisivi, che spero non blocchino l’attività del Parlamento e del governo. Con tutti i problemi che abbiamo occorre un’azione di governo coordinata e decisa». Ecco, il punto è proprio questo: il rischio che l’anno che resta di qui alla fine della legislatura si trasformi in una lunga campagna elettorale in cui ciascuno giocherà a farsi la propria.

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Giorgetti ovviamente si riferisce anzitutto agli “alleati” di maggioranza e in particolare a Pd e M5s. «Le cose al governo devono cambiare», dicono sia Salvini che il ministro. Ma forse c’è anche un non detto tra le parole del capodelegazione della Lega, ossia la preoccupazione per le possibili fibrillazioni che si scateneranno in casa Lega, con Salvini costretto a fare i conti con la concorrenza di Giorgia Meloni che dall’opposizione picchierà duro sul governo di cui il Carroccio è uno dei principali azionisti.

Del resto gli episodi di tensione non sono mancati nei 12 mesi appena trascorsi. Basti pensare alle prese di posizione di Salvini sulle misure restrittive per arginare l’epidemia (dal green pass all’obbligo vaccinale) di cui si è dovuto far carico per primo Giorgetti. Certo non ci sono solo i malumori del leader leghista con cui dover fare i conti. Basti pensare alle fibrillazioni M5s sulla riforma della Giustizia. Ma con l’avvicinarsi delle scadenze elettorali, i numerosi bracci di ferro - dalla concorrenza al catasto, dai balneari alle misure fiscali, dagli ammortizzatori sociali alle pensioni - inevitabilmente si moltiplicheranno. Draghi però intende ignorarle. Domani si terrà (salvo sorprese) un Consiglio dei ministri per alcune misure in scadenza, a cui ne seguirà un altro tra giovedì e venerdì.

Il premier vuole correre. La partita sul Quirinale ha inevitabilmente pesato sull’attività dell’esecutivo e bisogna recuperare. Il caso Giorgetti è chiuso: «Contiamo su di lui», è l’unico commento che arriva da Palazzo Chigi. Ma la possibilità che l’attuale titolare dello Sviluppo dovesse essere sostituito ha fatto immediatamente riaccendere le voci su possibili cambi nella squadra di Governo.

La parola «rimpasto» non rientra però nel vocabolario dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi. «Non scherziamo, ci sono numerose scadenze da rispettare - fanno osservare alla Presidenza del Consiglio con riferimento anche e soprattutto al Pnrr - e non ci possiamo certo permettere una nuova squadra di ministri». Quasi nessuno dei leader ha provato a chiedere di cambiare la squadra. Giuseppe Conte - che vedrà anche lui il premier a breve - per M5s lo ha escluso esplicitamente, così come il segretario dem Enrico Letta («per quanto ci riguarda deve andare avanti in questa formazione e con questa modalità di lavoro») ma anche Antonio Tajani per Forza Italia. Matteo Salvini però lascia intendere che «se c’è qualche ministro che non ha voglia di lavorare...». Probabilmente nel mirino resta il Viminale. Ma dopo tutto quello che è successo Draghi chiuderà rapidamente la questione. Almeno per ora.

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