ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’intervista / Giorgio Santambrogio

«Grande distribuzione costretta a trasferire i rincari sui prezzi»

di Enrico Netti

La richiesta. La moderna distribuzione chiede al Governo di essere considerata a tutti gli effetti un settore energivoro (Reuters)

3' di lettura

«Lo tsunami dell’aumento dei costi energetici è arrivato ed è fino a troppo facile prevedere un autunno rovente all’insegna dell’austerity, con un’impennata ulteriore dei prezzi dei prodotti alimentari e molti fallimenti per le catene di supermercati». È l’allarme che lancia Giorgio Santambrogio, iamministratore delegato di Gruppo VéGé e vicepresidente di Federdistribuzione, l’associazione che rappresenta oltre 16mila punti vendita della distribuzione moderna alimentare e non, vede nero sia per il futuro delle imprese del retail sia per i milioni di italiani che vanno a fare la spesa. «Sono drammaticamente e seriamente preoccupato per la sorte di molte insegne della distribuzione moderna, sia che si tratti di grandi supermercati che di piccoli negozi di quartiere e discount. Non ce la fanno più» incalza Santambrogio.

Vicepresidente cosa sta accadendo?

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L’ultima impennata del prezzo del gas è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Negli ultimi mesi tutta la distribuzione ha sofferto ed eroso i propri margini per contenere l’aumento dei prezzi pur di non scaricare sulle famiglie i rincari. Ma oggi non riusciamo più a contenere nulla.

Le insegne non riescono più a fare fronte agli aumenti dei costi energetici?

Esatto. Qualche giorno fa Giovanni Arena, presidente di Gruppo VéGé, mi ha comunicato che sebbene avesse previsto di mettere a budget un raddoppio dei costi energetici per i propri negozi ha scoperto che la realtà delle ultime due bollette gli ha trasferito un dato che ha superato di tre volte il costo preventivato. La bolletta di luglio è stata addirittura il doppio di quella di giugno. Un supermercato che pagava 8mila euro al mese arriva ora a pagarne 30mila. Prima il costo dell’energia incideva per circa l’1,5% del fatturato. Nel primo semestre 2022 siamo al 3,2% e tendenzialmente si potrebbe arrivare ad un’insostenibile soglia del 5%. Questi sono margini che non esistono nei conti economici di nessuna delle imprese della Gdo. È giusto che lo sappiano i decisori pubblici. Ricordo che la distribuzione moderna rappresenta un sostegno occupazionale per almeno 410mila famiglie.

È possibile immaginare un piano B per contenere i costi?

I nostri punti di vendita non possono certo risparmiare: energia significa conservazione e mantenimento della catena del freddo, sicurezza alimentare, benessere dei clienti e dei collaboratori con orari di apertura prolungati per venire incontro alle esigenze dei clienti.

Quale sarà l’inevitabile conseguenza degli ultimi rincari? Purtroppo la Gdo potrebbe essere costretta a scaricare sui prezzi al consumo una parte di questi extra costi e saranno i cittadini a pagarne le conseguenze. Aumenteranno i prezzi di tutti i prodotti: dalla pasta al pane, dal latte alla carne. Occorre però evitare ripercussioni sociali drammatiche e la paralisi del sistema di imprese commerciali e industriali nel Paese.

Il retail sembra avere le spalle al muro, quale può essere
la via d’uscita?

O chiudiamo o aumentiamo i prezzi, la situazione è questa: tertium non datur. Occorrono interventi massivi per superare questa drammatica fase. Nel frattempo occorre una politica governativa chiara ma soprattutto veloce riguardo la messa in rete degli impianti per le energie rinnovabili che la Gdo sta realizzando.

Cosa accadrà sul fronte dell’inflazione?

Se il Governo ci considerasse un settore energivoro, come in realtà siamo, potremmo usufruire di agevolazioni al fine di tentare di raffreddare i futuri rincari dei generi alimentari. Non possiamo più ignorare la centralità dei punti di vendita all’interno del tessuto economico e sociale del Paese.

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