Arte

Grandi fotografe inquadrate e narrate

Elisabetta Rasy traccia una storia dell’emancipazione femminile ripercorrendo le vite emblematiche di Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman

di Gabriele Pedullà

Una delle foto di Tina Modotti esposta al Mudec di Milano che ritrae un donna di Tehuantepec (1929)

4' di lettura

Elisabetta Rasy ama mettere ordine nei propri titoli con i numeri: Tre passioni, Tra noi due, Due giorni a Natale, sino al recente Le disobbedienti. Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte (se poi ai cardinali aggiungessimo gli ordinali, si potrebbe inserire nell’elenco anche il suo volume d’esordio, La prima estasi). Non fa eccezione, adesso, il gemello Le indiscrete. Storie di cinque donne che hanno cambiato l’immagine del mondo, dedicato ad alcune delle fotografe più iconiche del XX secolo: Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman (solo Berenice Abbott, Gerda Taro e Cindy Sherman sono probabilmente altrettanto radicate nell’immaginario).

Cinque storie di donne

Cinque donne, cinque storie, cinque poetiche, cinque momenti diversi del Novecento assai godibilmente narrati (con minimi incroci e sovrapposizioni). Quando invece si guarda al modo in cui il libro è costruito, ci si rende conto che Le indiscrete è percorso piuttosto da un’ossessiva e addirittura violenta logica binaria, come non succedeva alle altre raccolte di ritratti di Rasy (Tre passioni e Le disobbedienti). È ancora una volta anzitutto questione di titoli: in questo caso quelli dei vari capitoli, tutti formati (alla Jane Austen, o magari alla Elsa Morante) da una coppia di termini astratti che nella loro tensione permettono di inquadrare il percorso biografico e artistico di ciascuna delle cinque artiste: «La bellezza e la rivoluzione», «La vergogna e l’orgoglio», «La seduzione e la guerra», «Il desiderio e l’imperfezione», «Il corpo e l’anima». La relazione che viene a stabilirsi tra i due termini varia però secondo i casi. Può trattarsi di una semplice evoluzione (da A a B), come di uno scontro frontale (A contro B), o addirittura di un paradossale e contro-intuitivo rapporto di identità, a dispetto di tutte le apparenze (A come B).

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Il rapporto tra chi osserva e chi è osservato

Le indiscrete è tuttavia un libro duale soprattutto perché il suo tema non è solo la fotografia, o la fotografia al femminile. Il vero filo conduttore dell’indagine di Elisabetta Rasy è infatti il rapporto tra chi osserva e chi è osservato, il soggetto e l’oggetto dello sguardo. Tutte e cinque le artiste non solo fotografano gli altri, ma a loro volta sono anche molto fotografate – da maestri, amici, mariti, amanti, colleghi e colleghe. Le storie di Tina Modotti e di Lee Miller appaiono anzi emblematiche di questa relazione perché, entrambe bellissime, avevano conosciuto uno straordinario successo come modelle prima di passare, con una decisione caparbia, dall’altra parte dell’obiettivo: quasi obbligando i loro compagni (niente meno che Edward Weston e Man Ray) a insegnare loro i rudimenti della tecnica. Come rispose Miller a un giornalista che nel 1932 l’aveva definita la ragazza più fotografata di Manhattan: «Non voglio essere una fotografia, voglio fare una fotografia». Potrebbe trattarsi di una delle grandi frasi del XX secolo.

La rivolta dell’oggetto che vuole farsi soggetto (di sguardo) è naturalmente una splendida allegoria dell’emancipazione femminile, dove politica ed estetica vanno a braccetto anche quando è la ricerca più privata e introspettiva ad avere in apparenza la meglio. È una vicenda dai toni quasi hegeliani, e che di hegeliano ha anche un altro tratto distintivo: il progressivo tendere all’autocoscienza e alla riflessività. A leggere di seguito i cinque ritratti, essi finiscono infatti per tracciare inevitabilmente un percorso: dalla fotografa che ha bandito l’autoritratto (Modotti) a quella che non fa che offrire il proprio corpo all’obiettivo (Woodman), con in mezzo tutte le sfumature possibili, ma con un chiaro slittamento dallo sguardo sugli altri allo sguardo rivolti a sé stessa. Un cammino di conoscenza estremamente penoso, se le ultime due della serie (Arbus e Woodman) si sono anche tolte la vita da sole.

Una storia di corpi

Le indiscrete è in massima parte una storia di corpi: luogo di sperimentazione erotica, strumento di potere delle donne sugli uomini (la seduzione essendo spesso lo strumento con cui queste fate Morgane riescono a farsi rivelare da altrettanti Merlini il segreto della loro magia), ma soprattutto campo di battaglia artistico. La sfida qui è sempre la stessa: andare oltre, spingersi più in profondo, cogliere la realtà ulteriore che sta sotto la superficie ma che si manifesta solo al livello di epidermide, grazie alle emulsioni di nitrato d’argento. Rasy evoca benissimo questo tratto paradossale della fotografia; il desiderio di cogliere l’invisibile attraverso il visibile. Ma soprattutto coglie le funzioni molteplici che le Grafex o le Pentax hanno svolto per le sue eroine: manufatti d’avanguardia, affidabili dispositivi per entrare in comunicazione col mondo ma anche talismani per attraversare lo specchio. Come Alice, il personaggio letterario prediletto di Arbus.

In definitiva si tratta di rispondere alla domanda che, quando insegnava alla California School of Fine Arts, una volta Dorothea Lange rivolse ai suoi studenti in forma di compito da sviluppare in immagini: «Dove vivo?», specificando che non si trattava di fotografare la camera dove vivevano ma di far emergere la propria casa interiore. Sfidata a fare altrettanto da uno degli studenti, Lange si sarebbe presentata in classe poco tempo dopo con uno scatto del suo piede deformato dalla poliomelite quando era bambina – il grande trauma che aveva segnato tutta la sua esistenza. Come chiosa Rasy: «Lei viveva e aveva sempre vissuto lì». Ma qualcosa di simile si potrebbe ripetere per tutte le impavide cercatrici di questo libro.

Le indiscrete. Storie di cinque donne che hanno cambiato l’immagine del mondo, Elisabetta Rasy, Mondadori, pagg. 252, € 20

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