Grani antichi siciliani, al via l’operazione trasparenza
Concluso il progetto che ha posto le basi per arrivare alla certificazione del frumento autoctono siciliano. L’isola punta ad aumentarne la produzione
di Nino Amadore
3' di lettura
Lavori in corso in Sicilia per rendere più trasparente la filiera di produzione del grano autoctono, il cosiddetto grano antico siciliano, ma soprattutto per far crescere la coltivazione di questo tipo di frumento. Un primo passo è stato fatto grazie al progetto di ricerca Cavasifd sui grani antichi di Sicilia, condotto dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) di Palermo e dal Consorzio di ricerca Gian Pietro Ballatore grazie a un finanziamento del Mipaaf e dell’assessorato all’Agricoltura della Regione siciliana.
Completata la caratterizzazione genetica del grano siciliano
Grazie a questo progetto, durato due anni si è arrivati alla caratterizzazione genetica mediante marcatori molecolari e di caratterizzazione proteomica che consente di definire le proteine tipiche del frumento. In pratica «da ora – spiegano dal Crea – gli organi istituzionali, a più livelli, dispongono di un patrimonio informativo su basi scientifiche che permetterà di implementare quel processo di certificazione, tracciabilità e garanzia dei consumatori finali, che sui cosiddetti Grani antichi di Sicilia ancora manca». Una fase dunque che precede la certificazione vera e propria ma si tratta di «un primo tassello di assoluta importanza – spiega Vincenzo Pernice, dirigente del servizio Ricerca, assistenza tecnica e divulgazione agricola dell’assessorato regionale all’Agricoltura – che finalmente pone l'intera filiera del grano e della sua trasformazione nella condizione di sviluppare su certezze e garanzie questa nuova pagina del grano Born in Sicily, ad alto valore aggiunto per tipicità, tradizione e qualità organolettiche che caratterizzano i nostri grani autoctoni».
Sarà più semplice sanzionare i furbetti
Un punto fermo non irrilevante non solo per il valore del prodotto ma anche per la garanzia nei confronti dei consumatori visto che vengono ora proposti elementi di chiarezza necessari per dare garanzie sulla reale identità dichiarata dai produttori sulle confezioni. «Nessun vincolo limita l'uso delle farine ottenute dai grani cosiddetti antichi – sostiene Lorenzo La Fisca dell'Ispettorato centrale della Tutela della qualità e della Repressioni frodi dei prodotti agroalimentari – ma oggi, grazie al lavoro svolto dal progetto Cavasifd disponiamo di strumenti di verifica per dimostrare, grazie a specifici markers rintracciabili con analisi di laboratorio, la presenza o meno nelle matrici alimentari di specifiche varietà locali da conservazione». In parole semplici: qualsiasi prodotto (pasta, pizza o altro) che venga proposto con l’indicazione “ottenuto da grani antichi siciliani” può essere dettagliatamente controllato. «I cosiddetti Grani Antichi sono una sfida importante di recupero e valorizzazione che deve trovare coerenza lungo tutta la filiera, dal seme sino al prodotto trasformato – dice Giuseppe Russo dell'Istituto Gian Pietro Ballatore –. Il nostro progetto oggi consente di raggiungere un traguardo intermedio, eppure essenziale per costituire quel nucleo propulsivo su cui agganciare le diverse soggettività del sistema: dall'agricoltore, al mugnaio, dal panificatore al pizzaiolo, dal produttore di pasta al commerciante selezionatore che deve comprendere il valore e l'unicità di queste produzioni di nicchia».
Il progetto per aumentare la produzione
C’è un nodo che intanto va sciolto: vista la domanda di grani antichi siciliani bisogna arrivare all’aumento della produzioni. Oggi in Sicilia su 270mila ettari coltivati a frumento solo cinquemila ettari possono essere riconducibili alle varietà autoctone: l’isola conta 22 varietà autoctone di frumento duro (su 27 a livello nazionale) e 3 di frumento tenero, iscritte ai registri delle varietà da conservazione. Questo patrimonio è affidato a 57 agricoltori responsabili della selezione conservatrice e ciò ha permesso agli agricoltori siciliani di poter disporre di sementi certificate prodotte su circa 200 ettari: il prossimo passo è portare a 500 gli ettari dedicati ai semi certificati per poter proporzionalmente aumentare la quota di terreno seminato con grano autoctono siciliano. «Le produzioni varietali autoctone corrispondono oggi ad una nicchia, in forte evoluzione, con una crescita della domanda a cui non corrisponde però una produzione totalmente tracciabile – spiega Bernardo Messina del Consorzio Ballatore –. Queste produzioni varietali non sono ancora supportate da una sufficiente produzione di sementi certificate. In questa direzione bisogna lavorare per costruire una filiera dei grani antichi trasparente, e per raggiungere l'obiettivo, di fondamentale importanza risulta il ruolo delle aziende di trasformazione (molini, pastifici, panifici, ecc.), che devono essere in grado di garantire il consumatore finale, tracciando l'intero processo produttivo dal seme fino al prodotto finito pasta o pane che sia».
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