Il mancato rinnovo dell’accordo sul grano rischia di far esplodere l’insicurezza alimentare in Africa
Il mancato rinnovo della Black Sea Grain Initiative può infiammare i prezzi e aumentare l’insicurezza alimentare. Soprattutto in uno dei continenti più esposti all’export di Mosca e Kiev, l’Africa
di Alberto Magnani
I punti chiave
3' di lettura
L’allarme è rimbalzato per settimane nel 2022, ai tempi del primo braccio di ferro con Mosca. Non può che tornare alla ribalta ora: il mancato rinnovo del cosiddetto patto sul grano, minacciato dalla Russia, rischia di far esplodere l’insicurezza alimentare su scala internazionale, accanendosi sui mercati più esposti ai flussi cerealicoli in arrivo da Russia e Ucraina. «Centinaia di persone pagheranno il prezzo» dello strappo di Mosca, ha riassunto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres , paventando un effetto-domino su economie vulnerabili e già strette nella morsa inflazionistica.
Tra le vittime più immediate ci sono i Paesi dell’Africa, soprattutto subsahariana: una delle regioni a registrare le quote più pesanti di import agricolo dal «granaio d’Europa», con ricadute che esasperano crisi pregresse. L’Onu conteggia almeno 60 milioni di persone ridotte alle fame in sette Paesi dell’Africa orientale e teme «l’impatto di un nuovo urto» su un’area martoriata dall’intreccio di tumulti politici, violenze terroristiche e crisi climatica. La sospensione dell’intesa potrebbe infliggerne uno drastico, favorendo rialzi dei prezzi e un’instabilità sociale e politica già in ascesa.
L’accordo sul grano e il peso del «granaio d’Europa»
L’oggetto del contendere è la proroga della Black Sea Grain Initiative, firmata nel luglio 2022 e in vigore fino al 17 dello stesso mese nel 2023. Il testo siglato allora da Russia, Ucraina, Turchia e Onu, sotto mediazione di Ankara, ha consentito lo sblocco dell’export cerealicolo lungo le rotte del Mar Nero: un hub paralizzato dalla guerra in Ucraina, quando l’esercito russo ha strappato a Kiev il controllo di scali come quello di Odessa o interferito con i flussi di un’area decisiva per le forniture di grano internazionali. Nel 2021, alla vigilia del conflitto, Kiev esportava grano per l’equivalente di quasi 5,9 miliardi di dollari Usa, una cifra che la eleggeva a quinto Paese al mondo per esportazioni nel settore.
La Russia svettava in cima alla stessa classifica con 8,92 miliardi di dollari. Il traffico si è congestionato con il conflitto nell’Est Europa, acuendo i rischi di insicurezza alimentare e producendo un rialzo di prezzi insidioso soprattutto per le economie più fragili e ancorate all’import di grano prodotto all’esterno. L’accordo di maggio 2022 ha attenuato la morsa, senza impedire il tracollo produttivo sofferto dall’Ucraina. Ora l’incognita torna a porsi, con la zavorra aggiuntiva di oltre un anno di conflitto e le turbolenze dilagate in vari mercati emergenti.
L’impatto sull’Africa e il rischio insicurezza alimentare
A farne le spese potrebbero essere soprattutto le economie africane, già indicate come prime vittime della girandola di inflazione e strozzature dell’export scattate fra guerra in Ucraina e strascichi della pandemia di Covid.
Il grado di rischio a loro danno è implicito nella dipendenza verso Russia e Ucraina emersa - o resa più manifesta - dalla guerra nell’Est Europa. Secondo dati della Banca africana di sviluppo (African Development Bank o Afdb) le economie del Continente spendono in media l’equivalente di 75 miliardi di dollari Usa l’anno in import cerealicolo. Nel solo 2020, 15 di loro si sono rivolte a Russia o Ucraina per almeno la metà dei propri acquisti e altri sei Paesi (Benin, Eritrea, Egitto, Gibuti, Sudan, Tanzania) si sono spinti oltre la soglia del 70%.
Se il “solo” scoppio del conflitto era costato carenze per 30 milioni di tonnellate, stima ancora la Afdb, il mancato rinnovo dell’accordo sul Mar Nero può incidere su uno scenario ancora più deteriorato di quello dei primi mesi di guerra. Anche perché la carenza di materia prima infiammerebbe tassi di inflazione ancora allarmanti, a partire da un altro tassello cruciale nella filiera agricola: i fertilizzanti. Il World food program, il programma alimentare mondiale, stimava un balzo del 199% nei prezzi del prodotto solo fra maggio 2020 e fine 2022. L’accordo con Mosca ne aveva frenato l’ascesa, ma ora i prezzi - e le tensioni - possono tornare a correre.
Oltre alle ricadute economiche, ci sono quelle politiche. La domanda che aleggia è se Mosca non si rischi di pregiudicare la sua stessa rete di rapporti con i governi africani e l’approccio di «equidistanza» seguito da diversi leader sul conflitto ucraino. Una delle ipotesi è che il Cremlino sia pronto a una contro-offerta sull’acquisto di grano ai Paesi più in crisi, magari in vista del summit «economico e umanitario» con i Paesi africani in calendario il 27-28 luglio a San Pietroburgo. Già a maggio lo stesso Putin aveva dichiarato che la Russia avrebbe rifornito i paesi africani «senza costi aggiuntivi» in caso di mancata proroga per altri due mesi dell’accordo. Ora che l’intesa è scaduta, può essere messo alla prova.
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