Grecia-Macedonia: oggi lo storico patto. Proteste ad Atene
dal nostro inviato Stefano Carrer
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ATENE – «Traditori, Traditori!». Erano passate le 10 di sera del sabato quando, tra le migliaia di dimostranti in piazza Syntagma, è esplosa la rabbia alla notizia che il Parlamento aveva respinto la mozione di sfiducia contro il governo Tsipras che ha consentito oggi la firma – al confine tra Grecia e Macedonia – del patto preliminare che metterà fine al contenzioso quasi trentennale tra le due nazioni, cambiando il nome dello Stato confinante da Fyrom (ex Repubblica Jugoslava di Macedonia) in «Repubblica della Macedonia del Nord» e spianandone la strada verso l’ingresso nell’Unione Europea e nella Nato.
La firma del trattato
A siglare il documento internazionale d’intesa, in una cerimonia sul versante greco del Lago di Prespa, sono stati i due ministri degli esteri, il macedone Nikola Dimitrov e il greco Nikos Kotzias, alla presenza dei premier Zoran Zaev e Alexis Tsipras, del mediatore Onu Matthew Nimetz, dell’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini e del commissario europeo all’allargamento Johannes Hahn.
Proteste ad Atene
Questo storico passaggio diplomatico, tuttavia, ieri ad Atene ha esacerbato gli animi. La polizia ha sparato lacrimogeni, come aveva già fatto nel pomeriggio, per calmare i più esagitati tra i cittadini scesi in piazza per protestare contro un patto che riconosce ai vicini l’uso della denominazione «Macedonia», sia pure con una qualificazione geografica, e di una lingua macedone, previo riconoscimento che si tratta di una lingua slavo-meridionale: il tutto, è concordato, senza alcuna connessione con l’antica civilizzazione ellenica. Un compromesso che, secondo un sondaggio, trova 7 greci contrari su 10, e che ha suscitato molte proteste anche a Skopje, dove il presidente Ivanov ha già tacciato il patto di incostituzionalità. «La Macedonia è una sola ed è greca: qui si vuole alterare la storia!», urla Constantinos, studente universitario, avvolto nella bandiera a strisce bianco-azzurre, accanto a un pope che sventola un analogo stendardo e a un individuo che inalbera una icona della Madonna.
Agitazione nella piazza dei turisti
Nella piazza dove i grandi alberghi di lusso chiudono le saracinesche tra lo sconcerto dei turisti cinesi, non ci sono solo gli inquietanti bravacci nerovestiti di Alba Dorata, insomma, ma tanti cittadini comuni e persino monache a cantare l’inno nazionale e a rivendicare con forza una Grecia identitaria che non vuole schiarite con il proprio vicino al prezzo di un nome e di una indicazione geografica tipica. Un cartello invoca un referendum, previsto dall'accordo solo per l'altra parte. Un altro – gigantesco – mostra la figura a cavallo di Alessandro il Grande con una scritta che ne rivendica l'esclusiva grecità. Una anziana signora porta come una icona la foto di suo nonno a cavallo in una foto del 1903: patriota greco combattente in Macedonia.
I retroscena del negoziato
La sessione parlamentare è stata tesa, specialmente quando il ministro degli esteri Nikos Kotzias ha mostrato documenti desecretati relativi ai negoziati condotti dalle precedenti amministrazioni, da cui emerge che il governo Tsipras non ha fatto vere fughe in avanti rispetto a quanto l’attuale opposizione sembrava disposta in passato a concedere. La mozione di sfiducia sottoposta da Nuova Democrazia ha ottenuto 127 voti, contro 153 no. Un partito che fa parte della coalizione di governo, Anel, è contrario al patto con Skopje ma non ha voluto rischiare di far cadere il governo ora che il Paese sta per uscire dal «bailout» (giovedì in proposito ci sarà una riunione cruciale del'Eurogruppo).
I dubbi dell’opposizione
L’opposizione ha biasimato l’esecutivo sostenendo che non può impegnare il Paese visto che non ha una maggioranza in favore dell'accordo, oltre a stigmatizzare la procedura di segretezza con cui sono state condotte le ultime trattative. Il premier Alexis Tsipras ha evidenziato che «gli storici futuri faticheranno a comprendere perché, in questo momento positivo per il Paese, l'opposizione scelga di cercare di affossare il governo». Sono ancora in corso – in vista dell'appuntamento di giovedì - delicati negoziati per definire una forma di sollievo al debito greco sul medio-lungo termine: Tsipras vuole un «clean exit» dall’ultimo salvataggio, in modo da presentarsi agli elettori come l'uomo che ha archiviato i commissariamenti della Troika. Le elezioni generali sono previste nel settembre dell'anno prossimo: molti analisti pensano che saranno anticipate, ma probabilmente non quest'anno, anche perche' l'accordo bilaterale raggiunto impegna Skopje a numerosi passi entro la fine del 2018 e una eventuale caduta di Tsipras rimetterebbe in alto mare una intesa salutata con entusiasmo da Unione Europea e Nato.
Tsipras mostra ancora una volta di non aver paura di sfidare l'impopolarità, come aveva fatto accettando nel 2015 le dure imposizioni del “memorandum” anche dopo la contrarietà espressa dal popolo in un emotivo referendum da lui stesso indetto: la sua presenza oggi sulle sponde del lago Prespa a fianco del premier “nordmacedone” Zoran Zaev – alla firma del patto da parte dei rispettivi ministri degli esteri, sotto gli occhi benevoli del mediatore Onu, Matthew Nimetz, di Federica Mogherini e del Commissario Ue all'allargamento Johannes Hahn – potrà fare la storia. E se il nazionalismo e il logorio degli ultimi anni di austerità lo farà cadere, non sarà la fine politica di un leader che ha acquisito statura e benemerenze internazionali. «Odiare un altro Paese non è patriottismo», ha detto ieri in Parlamento. Altre proteste sono attese domenica ad Atene. E Skopje.
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