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Green deal: digitale, mobilità e consulenza nel maxi piano Ue

Si parte da un pacchetto di risorse di 7,5 miliardi ma puntando sulla quota del budget destinata all’ambiente che «deve essere almeno il 25%»

di Giuseppe Chiellino

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3' di lettura

Attivare investimenti “verdi” per mille miliardi di euro in dieci anni, un trilione, partendo da un pacchetto di risorse fresche di appena 7,5 miliardi ma puntando anche sulla quota del budget comunitario destinata all’ambiente che «deve essere almeno il 25%». Comincia dalle cifre la scommessa tra la realtà e le ambizioni del Green deal europeo, il piano con cui Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue, ha voluto dare un’impronta al suo mandato.

È chiaro già da ora che questa politica, con cui l’Europa diventa punto di riferimento nella lotta al cambiamento climatico, avrà successo se riuscirà ad attivare non solo i policy makers nazionali e locali, ma anche il settore privato, che significa non tanto e non solo la singola impresa, ma interi settori produttivi. Con un nuovo equilibro tra pubblico e privato che quanto più sarà solido tanto più sarà efficace.

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I fresh money

I 7,5 miliardi di “fresh money” per il Just transition fund ricavati dal bilancio pluriennale della Ue (MFF) sotto il cappello della politica di Coesione, sono dunque l’innesco di un processo che ha obiettivi molto più ampi. Andranno divisi tra i 27 Stati membri in un orizzonte di sette anni (2021-2027), la durata della programmazione europea. Tra gli impegni iniziali e il punto di arrivo immaginato c’è un mare di cifre, soggetti e strumenti anche finanziari, come quelli della Bei e di InvestEu (il Piano Juncker), che nel 2030 dovrebbero portare a un trilione di investimenti. In concreto, però, il piano von der Leyen avrà successo se la spinta del Green dealsarà raccolta e accompagnata dagli Stati membri e dai privati, con l’effetto moltiplicatore dei cofinanziamenti e degli investimenti aggiuntivi.

A CHI VANNO I FONDI DEL JUST TRANSITION FUND
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Parliamo delle imprese, ma anche dei professionisti che saranno coinvolti in questa grande operazione. Mobilità, edilizia e produzione manifatturiera sono i tre fronti in cui sarà concentrata la domanda di competenze e professionalità in grado non solo di valutare l’impatto ambientale della progettazione, dei processi produttivi, dei materiali e dell’organizzazione del lavoro, ma soprattutto di impostare le azioni per il cambiamento.

Il contributo degli Stati

La proposta della Commissione prevede che per ogni euro del Fondo per la transizione equa (JTF), gli Stati membri ne aggiungano almeno 1,5 (e fino a un massimo di 3) prelevati dalla dote nazionale dei fondi strutturali (Fondo sociale europeo e Fondo europeo di sviluppo regionale).

Nell’opzione 2021-2027 le regioni dovranno dunque tenerne conto, con un capitolo del programma operativo o con un piano a parte. Il target geografico dovrà essere molto preciso, indicando la provincia o il comune in cui è localizzato ciascun intervento.

I progetti

La lista è corposa: con le risorse europee potranno essere finanziati investimenti produttivi in Pmi e start up, di diversificazione e riconversione; nuove imprese, compresi incubatori e servizi di consulenza; ricerca e innovazione e trasferimento di tecnologie avanzate; diffusione di tecnologie per energia pulita a prezzi accessibili, riduzione di gas serra, efficienza energetica e rinnovabili; digitale; bonifica e riutilizzo di siti; economia circolare; riqualificazione dei lavoratori e ricollocamento dei lavoratori che la transizione trasformerà in disoccupati. Proprio questo è uno dei punti qualificanti del piano: mitigare l’impatto sociale della transizioni è uno dei principali obiettivi di Bruxelles.

Nel meccanismo di aiuto rientreranno anche i settori che oggi utilizzano gli ETS (Emission trading scheme), così come sarà possibile finanziare la transizione di grandi imprese. Prevista una deroga alle regole Ue sugli aiuti di Stato. Sono esclusi dal finanziamento lo smantellamento o la costruzione di centrali nucleari, la produzione e la lavorazione del tabacco; reti di banda larga nelle aree in cui esistono già almeno due operatori; imprese in difficoltà (regole sugli aiuti di Stato) e - come è ovvio - tutto ciò che ha a che fare con i combustibili fossili.

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