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Green New Deal, ecco il piano da mille miliardi della sinistra democratica Usa per sfidare la Trumponomics

di Marco Valsania

(EPA)

7' di lettura

New York - L’hanno battezzato il Green New Deal. È il programma socioeconomico issato a bandiera dalla sinistra del partito democratico. Una sinistra oggi in ascesa dopo i successi delle elezioni parlamentari di Mid-Term che hanno restituito all’opposizione il controllo di metà del Congresso - la Camera - portando alla ribalta una nuova generazione di deputati spesso, appunto, espressione dell’anima più progressista. Armata di un’agenda che ambisce a unire il focus sull’ambiente a quello sulla diseguaglianza, per rispondere tanto al populismo di destra di Donald Trump quanto alle ricette più tradizionalmente conservatrici del partito repubblicano, trainando con sé anche le correnti più moderate e restie dei democratici.

Se ci riuscirà o meno, a unire i democratici e a sfidare Trump e i repubblicani in vista delle elezioni presidenziali del 2020, resta da dimostrare. Ma molto dipenderà proprio dalla credibilità o meno che le proposte del Green New Deal sapranno conquistare. Segno della partita tutta aperta, oggi questo inedito New Deal genera dura opposizione tra i repubblicani e nervosismo tra gli stessi democratici più legati all’establishment.

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Il Deal
La versione più compiuta del progetto è affidata a 14 pagine rilasciate agli inizi di febbraio sotto forma di risoluzione congressuale dalla deputata newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez, leader dei nuovi democratici, e dal suo collega-senatore Ed Markey. Gli obiettivi sono stati messi nero su bianco: far scattare senza indugi una transizione degli Stati Uniti verso un utilizzo di fonti rinnovabili di energia al 100%, con emissioni-zero da effetto serra, da completare entro dieci anni. Questo comporterebbe ingenti investimenti pubblici, da veicoli elettrici a nuove reti ferroviarie ad alta velocità. Il piano adotta anche la necessità, già parte di precedenti strategie comprese quelle dell’amministrazione Obama, di misurare il costo sociale dell’anidride carbonica, vale a dire il prezzo pagato per l’impatto dell’emissione di ciascuna tonnellata extra di Co2 (ambientale, sanitario, etc.) al fine di valutare la bontà e efficienza di scommesse atte a frenarla. Gli investimenti pro-ambiente avrebbero l’effetto di creare milioni di posti di lavoro qualificati, che andrebbero diretti a beneficio anzitutto di comunità svantaggiate e vulnerabili.

Il Green New Deal, accanto all’appello a nuovi posti di lavoro come risultato diretto delle strategie ambientali, prevede tuttavia anche un vero e proprio nuovo contratto sociale per il Paese: assistenza sanitaria universale, salario minimo più elevato e di sopravvivenza, lotta ai monopoli e alle loro conseguenze deleterie sul lavoro e la società. Il piano non fornisce precise stime sulle risorse per un suo decollo, ma la cifra, soltanto sul fronte ambientale, anche secondo alcuni sostenitori potrebbe superare facilmente i mille miliardi. L’aggiunta di progetti di “Medicare for all”, vale a dire di assistenza medica universale, e di miglioramenti delle condizioni di lavoro farebbero lievitare il prezzo a svariate migliaia di miliardi.

Parte del nuovo social contract spinto dalle correnti più di sinistra prevede, per reperire necessari fondi, una maggior tassazione dei redditi più elevati, conteggiando un’aliquota massima di fatto raddoppiata al 70%, che fu normale in altre epoche. Crescente diseguaglianza e concentrazione della ricchezza - i famosi benefici della crescita che vanno in modo sproporzionato all’1% già più abbiente della popolazione - vengono cioè trattati da proponenti del Green New Deal alla stregua di una vera e propria crisi e emergenza nazionale da affrontare con rimedi drastici, sfoderando una versione di populismo di sinistra da offrire all’elettorato in cambio di quelle che vengono condannate come le false promesse di Trump. Sondaggi mostrano che idee un tempo considerate radicali oggi trovano inaspettate eco: un carico fiscale progressivo più aggressivo al top, che raggiunga appunto anche il 70% per i redditi oltre i dieci milioni di dollari, è sostenuto da circa la metà della popolazione. Da una forte maggioranza di elettori democratici - il 73% - ma anche dal 47% degli indipendenti e dal 39% persino dei repubblicani. E la rivista The Economist ha rispecchiato questa tendenza dedicando la sua ultima copertina alla rinnovata popolarità di idee “socialiste” anzitutto tra i millennials.

Il capitolo dell’ambiente
Al cuore del piano c’è quel 100% di energia rinnovabile, un target ambizioso rispetto al punto di partenza: oggi queste fonti contano infatti al più per un quinto del totale, alle spalle di gas naturale (32%), carbone (ancora il 31%) e nucleare (20%). Entro il 2050, stando agli attuali trend, le rinnovabili cresceranno ancora ma copriranno solo il 31% del fabbisogno complessivo.

La nascita di una cosiddetta nuova “smart grid”, una rete elettrica efficiente, senza sprechi e accessibile, è un disegno che esiste da tempo ma che è stato a sua volta finora sempre elusivo, con scarsi fondi stanziati dal Congresso per rimpiazzare sistemi di trasmissione vetusti e proni a danni. Al momento il governo investe circa 36 miliardi l’anno per aggiornare queste infrastrutture, senza alcuna ambizione di arrivare a una vera nuova rete nazionale entro il 2030. Le stime già esistenti dei finanziamenti necessari per reinventare la distribuzione di elettricità secondo criteri moderni e innovativi richiedono centinaia di miliardi di dollari nei prossimi vent’anni.

Rendere più efficienti sotto il profilo dei consumi di energia tutti i palazzi del Paese non è a sua volta cosa da poco. Finora sono stati lanciati solo progetti pilota per “risanare” immobili da punto di vista energetico. Il piano di stimolo economico di Obama del 2009 stanziò ad esempio una tantum quasi 8 miliardi per ristrutturare palazzi federali e case popolari, generando risparmi ma fermandosi a esperimenti parziali.

Rivoluzionare i trasporti e le loro infrastrutture, per ottenere emissioni-zero, è un progetto ugualmente ambizioso. Uno dei principali sogni di una nuova ferrovia ad alta velocità, in California tra San Francisco e Los Angeles, è stato appena ridimensionato dal neo-governatore progressista dello stato, Gavin Newsom, a causa di costi considerati proibitivi. Il progetto è stato limitato al collegamento di tre zone centrali dello Stato per porre a buon uso un prestito federale già ottenuto a favore del progetto su rotaia da 3,5 miliardi.
L’agricoltura è a sua volta al centro di importanti obiettivi di svolta: l’allevamento su scala industriale genera gravi emissioni da effetto serra, con la produzione di carne di manzo responsabile del 41 per cento. In totale l’allevamento presenta un conto pari al 14,5% delle emissioni globali.

Un nuovo social compact
Parallelamente a quello ambientale, il Green New Deal articola un nuovo contratto sociale. Prevede impieghi con salari in grado di mantenere una famiglia, benefit per assenza da malattia e per ragioni familiari, vacanze remunerate, garanzie di adeguate pensioni. Anche qui mancano ancora esatti obiettivi e budget. Alla base del progetto ci sono però fatti e stime che da tempo circolano, in centri di ricerca progressisti e meno. Il Center for Budget and Policy Priorities, di sinistra, ha ad esempio calcolato che assicurare quasi dieci milioni di disoccupati e sotto-occupati costerebbe al governo federale in media circa 56mila dollari l’anno per impiego, incluse tasse e e benefit. Potrebbe insomma servire un totale di 543 miliardi l’anno, meno del budget annuale del Pentagono (674 miliardi).

Il piano prescrive inoltre maggiori protezioni sul lavoro, in termini di condizioni sanitarie, discriminazione, standard nazionali. Sostegno verrebbe offerto al sindacato, che oggi rappresenta solo il 10,7% dei lavoratori privati contro il 10% degli anni Ottanta, ostacolato da leggi restrittive e punitive. Investimenti ingenti sarebbero infine destinati alla pubblica istruzione. Qui il riferimento è a proposte quali quelle già enunciate dal senatore del Vermont ed ex candidato presidenziale Bernie Sanders. Sanders ha proposto 47 miliardi di dollari l’anno in aiuti federali per coprire i costi di due terzi delle rette di iscrizione a college e università pubbliche. Fondi verrebbero ottenuti attraverso tasse sulle transazioni finanziarie di Wall Street. L’idea forse più aggressiva - e nota - è infine quella sulla copertura sanitaria: una forma di Medicare for all che rivoluzionerebbe potenzialmente l’assistenza medica americana, togliendola dalle mani delle assicurazioni private per affidarla sostanzialmente al pubblico.

I critici
I critici del Green New Deal sono numerosi, tra i repubblicani ma anche tra i democratici. Il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell vede nel Deal un’opportunità di far emergere alla luce del sole le divergenze all’interno degli avversari democratici e per questo ha indicato che potrebbe cercare di portare al voto la mozione progressista di Ocasio-Cortez, costringendo tutti a schierarsi. Il leader della minoranza democratica Charles Schumer ha contrattaccato affermando che senza un appropriato dibattito un voto sarebbe scorretto. Tra i democratici la maggior parte dei numerosi aspiranti alle presidenziali per il 2020 ha sottoscritto il documento progressista. E alcune decine tra deputati e senatori hanno esplicitamente promosso il piano. Ma potrebbe esistere una maggioranza silenziosa più moderata che tollera il progetto sperando in realtà che rimanga lettera morta, timorosa di alienare elettori moderati. La stessa Speaker della Camera Nancy Pelosi, nonostante la sua fama progressista, ha schernito la proposta lasciando capire che la ritiene troppo ingenua.

Gli attacchi più feroci, di certo, sono arrivati direttamente dal Presidente Trump. Ha accusato i democratici, sfideranno abituali iperboli, di voler “eliminare aerei, auto, mucche, petrolio e gas, forze armate. Che idee brillanti!”. Meno provocatoriamente e più seriamente, analisi pubblicate dal Wall Street Journal hanno invece sottolineato come il problema sia l’ammontare di investimenti pubblici necessario al progetto democratico. Può apparire irraggiungibile, anche con aumenti delle imposte. Solo sostituire interamente le fonti non rinnovabili di energia richiederebbe in realtà 2.900 miliardi - pari a un intero anno di entrate fiscali - secondo la ClearView Energy Partners. Una separata analisi del Quarterly Journal of Economics calcola che la ristrutturazione in senso di efficienza climatica e energetica di 95 abitazioni su scala nazionale costerebbe oltre 400 miliardi.

La storia del Green New Deal
Nella versione attuale il Green New Deal è emerso nel post-elezioni del novembre 2018. Un percorso per tradurlo in progetto di legge prevede la creazione di una speciale commissione della Camera per individuarne i dettagli entro il 2020, quando dovrebbe essere pronto un disegno da far approvare entro tre mesi. L’idea di un Green New Deal - incentrato sulla difesa dell’ambiente e la trasformazione dell’economia a questo fine - ha però una storia ormai consolidata alle spalle: il primo uso del termine sembra essere stato quello del giornalista e commentatore Thomas Freiedman nel 2007. Successivamente il concetto diede vita a una vera e propria associazione, il Green New Deal Group, che l’anno successivo pubblicò un rapporto. Allo stesso tempo le Nazioni Unite, attraverso il loro programma ambientale, cominciarono a promuovere un simile percorso fino a dare alle stampe il Global Green New Deal. Adesso il Deal ha trovato però un’eco senza precedenti tra i democratici americani e le sue priorità potrebbero svolgere un ruolo centrale nelle prossime grandi battaglie politiche negli Stati Uniti.

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