Concorrenza

Greenwashing, alt del giudice alla pubblicità ingannevole

Il Tribunale di Gorizia blocca claim generici e con dati non dimostrati

di Valentina Maglione

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2' di lettura

Stop ai messaggi pubblicitari che contengono dichiarazioni “green” generiche e non dimostrate. Si tratta, infatti, di pubblicità ingannevole, da inibire con urgenza. Lo ha deciso il Tribunale di Gorizia (giudice Clocchiatti) che, con l’ordinanza cautelare del 25 novembre 2021, ha condannato l’azienda che aveva lanciato i claim a rimuoverli, fissando anche delle penalità per l’eventuale inosservanza della decisione, e a pubblicare il provvedimento sul proprio sito web.

La pronuncia esamina la pratica, in crescita, del “greenwashing”: la strategia di marketing e comunicazione che, facendo leva sulla sensibilità ambientale sempre più diffusa, presenta aziende e prodotti con un’immagine ecologica e sostenibile non corrispondente alla realtà.

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La vicenda e le norme

A ricorrere in via cautelare al Tribunale di Gorizia è stata un’azienda che produce materiali tessili, specializzata in rivestimenti sintetici per gli interni di automobili (difesa da Lca Studio legale), che ha chiesto al giudice di disporre, con un provvedimento d’urgenza in base all’articolo 700 del Codice di procedura civile, l’inibitoria dei claim diffusi da una società concorrente, ritenuti ingannevoli.

La pubblicità ingannevole - chiarisce l’ordinanza - è un messaggio promozionale idoneo ad alterare le decisioni commerciali dei consumatori a cui è rivolto. Il tema del greenwashing è entrato nel 2014 nel Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, varato dall’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria: è stato aggiunto l’articolo 12 per cui «la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili». L’onere di dimostrare la veridicità dei dati e delle descrizioni grava sull’inserzionista. Inoltre il claim non deve essere generico, dato che «le virtù ecologiche decantate da una impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore medio».

La decisione

Nel caso esaminato, osserva il Tribunale, i messaggi pubblicitari sono molto generici e creano nel consumatore un'immagine green dell’azienda, senza dar conto delle politiche aziendali che consentono un maggior rispetto dell’ambiente e riducono l’impatto della produzione e commercializzazione di un tessuto di derivazione petrolifera. Inoltre, alcuni contenuti della pubblicità sono smentiti dalla composizione e derivazione del tessuto, che non è una fibra naturale.

Messaggi che, secondo il giudice, possono danneggiare l’azienda ricorrente. Per questo il Tribunale ha inibito la loro diffusione e ha ordinato la loro immediata rimozione. È stata inoltre fissata una penalità per il mancato adempimento: un importo 1.000 euro e di 10mila euro «rispettivamente per ogni violazione e per ogni giorno di ritardo o inosservanza successivamente constatata, e per ogni giorno di ritardo nell'adempimento di ciascuno degli ordini di fare e di non fare». Infine, il Tribunale ha ordinato all’azienda colpita dal provvedimento di pubblicarlo sul proprio sito per 60 giorni.

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