Greenwashing, il ruolo virtuoso della mano invisibile del mercato
di Francesco Ciampi
4' di lettura
In una economia di mercato l’obiettivo strategico di fondo dell’impresa è quello di creare valore per i suoi azionisti ed un modello di business è economicamente sostenibile se consente di generare valore per gli shareholder nel medio e lungo termine.
Nell’ambito delle strategie aziendali, accanto agli obiettivi di sostenibilità economica, hanno oggi assunto centralità obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale e di corporate governance, ai quai spesso ci si riferisce utilizzando l’acronimo Esg (Environmental, Social, Governance). Tale evoluzione delle priorità strategiche aziendali ha influenzato e sta influenzando in misura rilevante le dinamiche dei mercati finanziari: Bloomberg ha stimato che entro il 2025 il mercato globale dei prodotti finanziari Esg supererà i cinquantamila miliardi di dollari, con la conseguenza che entro tre anni un dollaro su tre sarà investito sulla base di criteri ambientali, sociali e di governance.
La sostenibilità ambientale si riferisce alla capacità dell’impresa di assumere comportamenti responsabili, che superano quelli prescritti dalla normativa vigente, relativamente a tematiche quali il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, le emissioni di anidride carbonica, il consumo delle risorse scarse. La sostenibilità sociale inerisce a temi quali il rispetto dei diritti umani, le condizioni di lavoro, la parità di genere, il rifiuto di tutte le forme di discriminazione. La sostenibilità della governance riguarda infine l’adozione di comportamenti responsabili relativamente a temi quali la diversità nella composizione dei consigli di amministrazione, la presenza di amministratori indipendenti, il contrasto alle varie forme di corruzione, l’adozione di politiche di remunerazione dei manager legate ai risultati di medio periodo.
Diversi casi aziendali, alcuni dei quali eclatanti, e numerose indagini empiriche hanno tuttavia dimostrato che la tentazione di diffondere informazioni in tutto o in parte non veritiere circa le pratiche Esg adottate (c.d. greenwashing) è molto diffusa. Una indagine sulla pratica del greenwashing a livello europeo effettuata lo scorso anno dalla Commissione europea insieme alle Autorità nazionali di tutela dei consumatori ha rilevato che nel 42% dei casi analizzati le affermazioni delle aziende dovevano essere ritenute non veritiere e considerate pratiche commerciali sleali. Vi è dunque un rilevante rischio che i consumatori e gli investitori siano indotti ad acquistare un bene o un prodotto finanziario ritenendolo sostenibile dal punto di vista sociale, ecologico e della governance mentre in realtà non lo è affatto o lo è solo in minima parte.
Uno dei motivi principali della diffusione delle pratiche di greenwashing è la mancanza di metriche oggettive, standardizzate e condivise con le quali valutare l’effettiva entità delle pratiche comunicate e dei risultati conseguiti. Le principali società che valutano il rating finanziario attribuiscono spesso alla stessa impresa valutazioni identiche o molto simili, grazie al fatto che le metriche contabili e finanziarie sono oggi largamente standardizzate e condivise. Al contrario le diverse agenzie di rating Esg (società che elaborano in modo professionale giudizi circa le performance Esg delle imprese) impiegano quasi sempre metriche e modelli di valutazione tra loro molto eterogenei, con la conseguenza che la stessa impresa può ottenere valutazioni anche molto differenti dalle diverse agenzie. L’11 marzo scorso John Coates, direttore della Divisione Corporate Finance della Sec, ha evidenziato pubblicamente la necessità di una riforma della regolamentazione vigente, nella direzione dell’introduzione di nuovi e più stringenti obblighi di disclosure Esg per le società quotate statunitensi.
Una prima strada da percorrere per combattere il greenwashing è dunque quella di sviluppare metriche di valutazione chiare, omogenee, verificabili e certificate. Di grande interesse, a questo proposito, risulta la recente istituzione, da parte della International Financial Reporting Standards (IFRS) Foundation, di un nuovo organismo, l’International Sustainability Standards Board (ISSB), con la missione di sviluppare un sistema di IFRS Sustainability Disclosure Standards, destinati a rappresentare per le pratiche Esg quello che gli IFRS Accounting Standard hanno fino ad oggi rappresentato per le pratiche contabili.
Una seconda strada, a nostro avviso ancora più efficace, è quella di consentire agli stakeholder di comprendere l’effettivo potenziale di creazione di valore economico delle pratiche Esg che l’azienda dichiara di aver adottato. Se è vero che in una economia capitalistica l’obiettivo primario dell’impresa resta quello di creare valore per i suoi azionisti, l’adozione volontaria di comportamenti responsabili in chiave Esg risulta infatti poco credibile se tali comportamenti non sono in grado di creare valore economico. Quando Bill Gates ha deciso di destinare svariate decine di miliardi di dollari a migliorare l’assistenza sanitaria e ridurre la povertà nel mondo lo ha fatto attraverso una fondazione filantropica (la Bill & Melinda Gates) completamente separata dalla Microsoft, che mantiene la creazione di valore per i suoi azionisti quale obiettivo strategico primario. Diverse indagini empiriche hanno in effetti dimostrato che esiste una correlazione positiva tra adozione di alcune categorie di pratiche Esg e creazione di valore: le imprese che adottano comportamenti responsabili beneficiano infatti di riduzioni del costo del debito (specie nel caso di prestiti non garantiti) e dell’equity, minori costi energetici e di materie prime (come nel caso delle pratiche di riciclaggio di scarti di produzione e/o di prodotti a fine vita per generare materia prima rinnovata) e maggiori ricavi (ad esempio perché il personale è più produttivo quando il clima organizzativo è buono ed i clienti sono disposti pagare un prezzo più elevato se il prodotto che acquistano trasmette valori positivi dal punto di vista etico, sociale ed ambientale).
Un grande passo verso la diffusione di comportamenti aziendali responsabili potrebbe dunque venire dalla elaborazione di metriche nuove ed affidabili in grado di misurare l’impatto, attuale e potenziale, delle politiche Esg dichiarate sulla capacità di creazione di valore delle imprese. Allora sì che il comportamento responsabile dichiarato diverrebbe credibile e proprio facendo leva su tale credibilità la mano invisibile del mercato, spesso superficialmente indicata come causa di tutti i mali del mondo (ivi inclusi l’inquinamento ambientale, il peggioramento climatico, l’esclusione sociale), potrebbe diventare una leva formidabile per stimolare, diffondere e far evolvere pratiche Esg effettive, efficaci ed economicamente sostenibili.
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