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Gros-Pietro: al cda il compito di raccogliere la fiducia del mercato

Per il presidente di Intesa Sanpaolo il board «deve difendere gli azionisti dal management». A parlare di governance e capitalismo famigliare con lui anche Ornella Barra e Dario Tosetti

di Laura Galvagni

4' di lettura

Il coraggio, leva chiave del capitalismo famigliare, il valore della governance e il tempismo. Sono queste alcune delle tematiche chiave affrontate al Festival dell’Economia di Trento, organizzato dal Sole 24 Ore, nel panel «Post pandemia, passaggio generazionale e governance: quale futuro per le imprese a capitale famigliare» durante il quale sono intervenuti Ornella Barra, chief operating officer International di Walgreens Boots Alliance, Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo e Dario Tosetti, Fondatore di Tosetti Value.

La governance

Proprio Gros-Pietro, in dialogo con il vice direttore del Sole 24 Ore, Alberto Orioli, ha inquadrato uno degli aspetti cruciali del contesto economico del paese: «C’è molto più management nelle imprese francesi ma c’è molta più imprenditorialità nelle imprese italiane e l’imprenditorialità è una delle cose più difficili da attivare se non c’è. In Italia non abbiamo questo problema, quello che ci svantaggia è l’insieme della struttura». Ma in che termini? «Quando ero all’Iri con la cessione delle partecipazioni ho toccato con mano la differenza tra la struttura finanziaria dell’Italia e quella dell’Europa» ha aggiunto, sottolineando che mancavano i capitali per acquisire quote chiave nei colossi dismessi dallo Stato.

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Barra, dal canto suo, ha fatto capire che proprio la capacità dell’imprenditore di mettersi in gioco e di cambiare pelle nel corso del sua vita “impreditoriale”, può sopperire a questa carenza di denari. Lei, ha assicurato, lo ha fatto a più riprese e questo le ha permesso di realizzare un colosso internazionale della distribuzione farmaceutica partendo da una farmacia. Ci vuole intuito, ma è necessario anche «il coraggio e il senso del tempo», ossia fare le cose giuste al momento giusto. L’impero è stato realizzato passando da una fase all’altra avendo come unico motore «la voglia di crescere». E quindi prima c’è stata la ricerca di un partner che ha permesso di fare il primo salto, Stefano Pessina, e poi da lì la scelta di mettersi in gioco: la Borsa di Parigi, la prima fusione con Unichem, poi Boots, quindi proprio alla vigilia della crisi Lehman Brothers, Kkr e la maxi operazione di leverege buy out, e infine la fusione con Walgreens. Tutto questo avendo ben chiare tre priorità: «Tempo, prezzo e partner». Perché «non c'è mai un punto di arrivo e bisogna sempre guardare che cosa può succedere in anticipo; ci vuole fortuna e coraggio».

Ma tutto questo non può prescindere da un tema centrale: la governance. Barra ha sempre agito secondo un «proprio sistema di governance», un modello personale fatto dei principi che l’hanno guidata nell’ascesa: l’interesse dell’azienda prima di tutto.

Concetto ribadito anche da Gros-Pietro secondo cui i compiti devono essere molto chiari: «La capacità di ottenere la fiducia del mercato sta nel board, la gestione del gruppo spetta invece al management e il board deve difendere gli interessi degli azionisti da quelli del management».

Il futuro

E questo è tanto più vero oggi con le aziende che vanno condotte nel mare in tempesta: la recessione per ora è una probabilità non una previsione. Ma è necessario fin da ora fare i conti con il contesto. E allora per Gros-Pietro «questa crisi deve essere gestita in modo industriale, non monetario. Ma se non si aggiustano le chain values, allora l’inflazione parte da sola e diventa inevitabile l’intervento delle banche centrali». «Certo - ha poi aggiunto - bisogna fare attenzione a non innescare la spirale salari-prezzi, ma non si può neppure far esplodere la rabbia sociale in questo particolare momento. Ricordiamo sempre che nella sigla Esg la lettera s, cioè social, è molto importante».

La competitività

Altro tassello centrale del lungo dibattito è stato la competitività del paese e più in generale dell’Europa perché sono questi i nuovi confini economici con cui l’Italia si deve confrontare. «La capital market union è importante in Europa per avere un mercato dei capitali all'altezza di Usa e Cina», ha sottolineato Gros-Pietro spiegando poi che sul tema dei “campioni europei”, «c'è un grande desiderio di muoversi in questa direzione ma c'è un percorso accidentato, con tanti piccoli ostacoli, per esempio sulle strutture di gestione finanziaria che dovrebbero trovare all'interno dell'Europa la stessa gestione fiscale, altrimenti ci sono arbitraggi». «Ci sono paesi che vivono su certe convenienze, una situazione non facile da smontare ma ci stiamo lavorando», ha fatto notare.

E a tal proposito Tosetti ha aggiunto: «L’Italia ha più di 11.200 imprese famigliari che fatturano più di 20 milioni. Oggi che cosa va valutato con attenzione: più del 50% delle imprese famigliari sarà oggetto di passaggio generazionale; il private equity vuole investire nel nostro paese, ha i capitali per farlo e può muoversi riconoscendo multipli più alti di quelli industriali; e poi la burocrazia. Il rischio per il paese di veder impoverita la presenza di imprese famigliari è legata al concorso di questi tre fattori. Questo è un momento delicato che richiede un atteggiamento culturale diverso».

A livello più complessivo, per quanto riguarda gli istituti di credito, Gros-Pietro ha sottolineato un altro aspetto: «Il cliente delle banche e il risparmiatore non sono remunerati in modo soddisfacente, la banca deve evolvere, aggiungendo degli strati che riescono a offrire ai risparmiatori un reddito più elevato mettendoli al riparo dal rischio. Questo è il futuro della finanza: servono grande trasparenza e grande protezione del risparmiatore».

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