Gucci a Seoul: show omaggio alla Corea (ma pesa l’assenza di un leader)
La moda affidata a un comitato ha poco senso, ma a settembre esordisce il nuovo direttore creativo, Sabato De Sarno, e di certo qualcosa cambierà. Intanto la maison sfila nel mercato asiatico più all’avanguardia
di Angelo Flaccavento
2' di lettura
Le luci si spengono accompagnate dal miagolio melanconico di un violino. Un gong solenne, vibrante e la corte cerimoniale del palazzo Gyeongbokgung, nel cuore di Seoul, teatro per la prima volta di un fashion show, piomba d'improvviso nel buio pesto bucato da piccoli fari disposti per terra. Cala il sipario, in ogni senso. Non solo infatti si chiude in questo modo la sfilata resort 24 di Gucci, faraonica come da copione e di indubbio fascino visivo. È soprattutto la fine di un'epoca per il marchio, incline sempre alla reinvenzione: l’ultimo e conclusivo sciabordio della lunga onda estetica citazionista-postmoderna iniziata con trascinanti successi da Alessandro Michele e proseguita nelle ultime due stagioni, in anonimato e con una certa stanchezza, dal team, con la perdita di mordente che inevitabilmente ne consegue pur in considerazione del talento di tutti e della difficile contingenza.
Sia ripetuto nuovamente: la moda affidata ad un comitato ha poco senso, anche per rispetto del team, lasciato privo di leader. Senza autori ogni scelta diventa discutibile, e si itera lo status quo, o ci si sforza di farlo. A settembre esordisce il nuovo direttore creativo, Sabato De Sarno, e se non tutto, di certo qualcosa cambierà. Per ora si fa come prima, come se nulla fosse, con una asciuttezza invero diversa e per certi versi accattivante, e una chiara volontà di corteggiare il pubblico più duro, edgy, allontanatosi, è possibile, da Balenciaga. Il megamix di stili e referenze, il citazionismo pop, però, rimangono immutati: congiunzioni balzane di tavole da surf e panier, di bomber da skinhead e vestine couture, di armamentario da club e languori seducenti, di pradismi e Tom Fordismi.
Il contesto coreano suggerisce un appiglio particolarmente utile che amplifica questa pratica stilistica. La scelta di sfilare a Seoul è infatti altamente significativa: nel fermentante e famelico eldorado asiatico, laddove sui vestiti si spende davvero tanto - con gioia somma dei marchi - la Corea rappresenta l'avanguardia più sofisticata, il laboratorio di stili particolarmente liberi, nuovi, caratterizzati da sottigliezza e indubbia eleganza. È un mercato dalle potenzialità enormi, quindi meglio attivarsi. Fin qui il marketing.
Le note scritte della sfilata sono altrettanto chiare in senso culturale: equiparano la maniera guccesca in cui tutto va con tutto al paesaggio urbano della capitale, che mescola grattacieli e palazzi storici, e ai suoi giovani e stilosi abitanti che non temono di surfare tra tradizioni vestimentarie anche opposte. Quest’ultimo è forse solo l'ennesimo stereotipo, non provato dalla realtà della gente vista per strada, ma nelle febbre dello storytelling tutto torna.
La show è un gran dispendio di energie visive e creative, pensato chiaramente per riempire di contenuto un momento di transizione. In questo senso è sensazionalistica quanto immateriale, anche se non mancano gadget e oggetti capaci di suscitare desiderio, o magari solo curiosità. Il fatto è che gli occhi di tutti, come sempre nella moda, sono già sul next, e questo è uno show che sa fin da subito, per forza di cose, di passato.
Consigli24: idee per lo shopping
Scopri tutte le offerteOgni volta che viene fatto un acquisto attraverso uno dei link, Il Sole 24 Ore riceve una commissione ma per l’utente non c’è alcuna variazione del prezzo finale e tutti i link all’acquisto sono accuratamente vagliati e rimandano a piattaforme sicure di acquisto online
loading...