Difesa

Guerini scommette sui droni “armati” con 59 milioni già disponibili

La novità emerge dal Documento programmatico pluriennale della Difesa 2021-2023. Oggi i velivoli militari a pilotaggio remoto non hanno strumenti offensivi

di Marco Ludovico

(GettyImages)

2' di lettura

L’Italia dal 2004 investe sullo sviluppo dei droni in campo militare. Siamo uno dei pochi Paesi autorizzati in una lista speciale di fornitura degli Stati Uniti. Ma finora non li abbiamo mai dotati di sistemi d’arma. Con il Documento programmatico pluriennale 2021-2023, approvato alcune settimane fa, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini fa il passo avanti da molti atteso da tempo. Una scelta politica: i sistemi d’arma vanno al vaglio delle commissioni Difesa di Camera e Senato. Ma per gli addetti ai lavori è anche l’evoluzione naturale degli attuali assetti. Il documento pluriennale, del resto, illustra le previsioni di spesa e il piano complessivo di sviluppo del cosiddetto “Strumento militare”.

In ballo 59 milioni già finanziati

Il documento ministeriale, a pagina 101, sottolinea come «Il programma ha un fabbisogno complessivo stimato in 168 M€ di cui vede finanziata una tranche di 59 M€ distribuiti in sette anni». Il linguaggio militare può sembrare burocratico ma è chiaro: «Il velivolo garantirà incrementati livelli sicurezza e protezione nell’ambito di missioni di scorta convogli, rendendo disponibile una flessibile capacità di difesa», così come ci sarà «una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno che a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza». Per la Difesa questa innovazione è il naturale sviluppo di un mezzo ormai parte integrante dei sistemi militari, rivelatosi indispensabile e decisivo in diversi “teatri” operativi come li chiamano gli addetti ai lavori.

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Strumenti di difesa e protezione

L’armamento, secondo Rid (rivista italiana difesa), che ha anticipato la notizia, riguarderà i droni «classe MALE REPAER». Secondo la rivista specializzata «l’emergere dei nuovi scenari – che dal Nagorno Karabah, alla Libia, hanno mostrato la rilevanza sui campi di battaglia del drone armato – hanno fatto cadere incertezze e resistenze». Di contro «più volte in passato nei teatri la non disponibilità di armamento a bordo dei PREDATOR/REAPER ha messo a rischio la vita dei nostri soldati a terra». Di certo l’Aeronautica così ottiene un rafforzamento dei suoi mezzi. Il sistema d’arma da acquisire non è ancora noto e, va detto, i tempi di realizzazione non sono dall’oggi al domani. Ma l’input della procedura è ormai scattato.

Lo snodo politico-strategico

Il ministro della Difesa conosce bene limiti - a partire da quelli costituzionali - necessità e opportunità dello sviluppo dei sistemi d’arma. La scelta di Guerini, dunque, non è certo in chiave ultrabellicista ma attiene innanzitutto alla protezione e difesa, se non prima ancora prevenzione, da attacchi e incursioni offensive contro i nostri uomini e mezzi negli scenari operativi. I droni sono una sorta di “sentinelle” se non addirittura “fattori abilitanti” della macchina militare. Sullo sfondo c’è un fronte politico geostrategico molto più ampio, aperto dopo la crisi afghana e tuttora incerto negli esiti. È il tema del rilancio della sfida per la Difesa europea, di cui Guerini è strenuo fautore. Mettere i nostri sistemi di difesa alla pari con quelli dei principali partner europei diventa una condizione necessaria per sostenere questa scommessa tutta da vedere.

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