ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl futuro dell’Unione

Guerra, dilemmi e transizione europea

L’ex segretario di Stato Hillary Clinton all’Amundi Investment Forum 2022: «Pechino sta diventando più aggressiva, anche militarmente. La guerra della Russia? «Diventi un’opportunità per la Ue di accelerare la transizione delle fonti di energia

di Sergio Fabbrini

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4' di lettura

È presto per stabilire quali saranno le conseguenze di lungo periodo dell’aggressione russa dell’Ucraina. Non è presto per registrarne le conseguenze di breve periodo. Ovvero, un incremento delle divisioni all’interno delle istituzioni dell’Unione europea (Ue). Tali divisioni nascono dai nuovi dilemmi di policy indotti dalla guerra russa. Ne considero due.Il primo dilemma riguarda gli interessi: come conciliare la priorità ambientale con quella energetica? Nel novembre 2019, quando la Commissione europea venne pienamente insediata, la sua priorità consisteva nel cosiddetto Green Deal. Nel discorso fatto di fronte al Parlamento europeo, la nuova presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva sostenuto che l'Ue avrebbe dovuto conseguire la «neutralità climatica entro il 2050». Ciò avrebbe richiesto una riduzione sistematica dei livelli di emissioni di gas
a effetto serra.

Come tappa intermedia, l’Ue si sarebbe dovuta impegnare «a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030». La necessità della ripresa post-pandemica aveva paradossalmente rafforzato l’obiettivo del Green Deal. Il programma di Next Generation-EU prevede che una quota significativa (almeno il 30%) dei fondi trasferiti agli stati membri venga utilizzata per accelerare la transizione ambientale. Poi è arrivata la decisione di Putin di invadere l’Ucraina. Una nuova priorità si è imposta all’Ue: ridurre la propria dipendenza energetica dalle forniture russe. L’auto-sufficienza energetica dell’Ue richiede però tempo e (soprattutto) risorse. Sono necessari enormi investimenti tecnologici, oltre che cambiamenti di strategia geopolitica. In un contesto inflazionistico che la Banca centrale europea (BCE) fa fatica ad affrontare (forse per via delle divisioni al proprio interno), gli stati membri dell’Ue non dispongono dei fondi per gli investimenti energetici, perseguendo contemporaneamente le priorità ambientali. Tali difficoltà si sono viste nella discussione, svoltasi nel Parlamento europeo la settimana scorsa, sul pacchetto di proposte ambientali (Fit for 55). Quel pacchetto prevede un insieme (otto) di normative in materia di clima, energia e trasporti per rendere «l’Ue pronta» a ridurre del 55% le emissioni inquinanti nel 2030, giungendo alla neutralità climatica nel 2050. In quel pacchetto si prevedeva anche che i valori emissivi per auto e furgoni scendessero del 55% entro il 2030, per azzerarsi cinque anni dopo. Obiettivo necessario, da raggiungere, però, con tempi di marcia molto stretti (in un contesto economico non favorevole). Così, sui tempi, la maggioranza parlamentare si è divisa, con i Popolari e i Liberali favorevoli a giungere a meno 90% entro il 2035, mentre i verdi e i socialisti (internamente divisi) favorevoli alla proposta originaria dell’azzeramento.

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Il secondo dilemma riguarda i valori: come conciliare lo stato di diritto con l’esigenza dell’aiuto all’Ucraina? Da diversi anni, la Corte europea di giustizia (CEG) e la Commissione europea hanno richiamata la Polonia al rispetto dei principi dello stato di diritto celebrati dai Trattati. Il governo polacco ha infatti posto sotto controllo i propri giudici, introducendo un organismo con il compito di vigilare sulle loro sentenze (oltre ad aver prepensionato quelli non compiacenti con il partito di maggioranza, Prawo i Sprawiedliwość, PiS). Nel dicembre 2020, il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri hanno approvato un regolamento per l’assegnazione dei fondi di NG-EU che prevede una clausola di condizionalità (relativa al rispetto dello stato di diritto per ottenere quei fondi). La Polonia (insieme all’Ungheria) si era opposta a tale clausola, ricorrendo alla CEG che, però, l’ha considerata legittima. Sulla tale base, la quota di fondi spettante alla Polonia (23,9 miliardi di sussidi e 12,1 miliardi di prestiti) è stata bloccata dalla Commissione europea, in quanto il governo polacco ha continuato a rifiutarsi di abolire il sistema di controllo sul potere giudiziario. In risposta, il governo polacco ha continuato a tenere in ostaggio l’approvazione del testo, negoziato tra i Paesi dell’OCSE, che prevede l’introduzione dell’aliquota minima al 15% per le grandi aziende che operano nel mercato europeo. Poi è giunta la decisione di Putin di invadere l’Ucraina. La Polonia si è trovata in prima fila nel sostegno al governo del presidente Zelensky, accogliendo 4 milioni (per ora) di cittadini ucraini fuggiti dal loro Paese. Di fronte ad un simile sforzo, la Commissione europea (con inedite divisioni al proprio interno) ha iniziato a rivedere i propri giudizi sulla violazione dello stato di diritto in Polonia, aprendo la procedura per l’assegnazione dei fondi di NG-EU.

Insomma, le divisioni emerse sia nel primo che nel secondo dilemma sono il riflesso di un sistema che obbliga a giochi a somma zero (tra i loro versanti). In realtà, per affrontare il primo dilemma, l’Ue dovrebbe disporre di nuove risorse proprie (NG-EU 4.0) con cui sostenere le innovazioni tecnologiche e la coesione sociale, sfide che nessun Paese può affrontare da solo. Il “frugalismo” conduce all’implosione sociale dell’Ue. Così, per affrontare il secondo dilemma, l’Ue, dovrebbe disporre di un programma ad hoc per i rifugiati, con cui aiutare la Polonia senza ricorrere ai fondi di NG-EU. L’opportunismo sullo stato di diritto diffonde il cancro illiberale, invece di contenerlo. Per affrontare i dilemmi delle priorità confliggenti, occorre cambiare gioco. Con scarpe troppo strette non si va lontano.

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