Venezia 77

«Guerra e pace», un’affascinante riflessione sul potere del cinema

Nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia è stato presentato il nuovo lavoro di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti

di Andrea Chimento

2' di lettura

Massimo D'Anolfi e Martina Parenti si confermano tra i documentaristi più importanti del cinema italiano con «Guerra e pace», film presentato nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia.

Diviso in vari capitoli, «Guerra e pace» racconta la secolare relazione tra cinema e guerra, a partire dall'invasione italiana in Libia nel 1911 fino ai giorni nostri.Sin dalle splendide, prime sequenze si coglie perfettamente lo stile dei due autori, conosciuti per pellicole come «Materia oscura» e «Spira mirabilis»: la cinepresa si sofferma sul lavoro all'interno degli archivi cinematografici e sono proprio queste le parti più affascinanti di un lungometraggio ricco di suggestioni.

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Dalle sequenze filmate dai pionieri del cinema alle odierne riprese girate con gli smartphone, si coglie come il rapporto tra il cinema e la guerra sia solido e ricco di sfaccettature.

Importanza della memoria

Sfruttando peraltro al meglio alcune importanti istituzioni europee che ospitano passaggi narrativi della pellicola, si sviluppa un film che fa conoscere spazi poco noti, ragionando sul senso della storia, sulle sue evoluzioni e sull'importanza della memoria.Non è senz'altro una visione semplice per una certa prolissità complessiva, ma con un po' di pazienza si verrà del tutto ripagati, come spesso avviene per chi assiste ai film di D'Anolfi e Parenti.Il risultato è infatti un lavoro tanto potente e coraggioso che avrebbe meritato di partecipare in concorso: probabilmente è l'opera migliore di questa coppia di documentaristi, tra i più bravi del cinema italiano di oggi.

Laila in Haifa

Nella competizione principale, invece, è stato presentato «Laila in Haifa» di Amos Gitai, regista israeliano noto per il suo cinema impegnato. Ambientato in un locale notturno nella città portuale di Haifa, il film si sviluppa nel corso di una notte attraverso una serie di incontri e situazioni in cui si intrecciano le storie di cinque donne, con identità e personalità molto differenti. Con un cast corale di attori israeliani e palestinesi, Gitai vorrebbe dare vita a una pellicola ricca di riflessioni, offrendo una panoramica di uno degli ultimi luoghi rimasti in cui persone delle due nazioni si ritrovano per impegnarsi in relazioni faccia a faccia.Un tema non così nuovo per l'autore di ottimi lungometraggi come «Kippur» o «Rabin, the Last Day», che però in questo caso non riesce a trovare l'incisività dei tempi migliori e dà vita a un prodotto annacquato e privo di quella carica emotiva necessaria a un lavoro di questo tipo.

«Laila in Haifa», anche per la sensazione di aver assistito a un'opera a tratti poco sincera, risulta così uno dei film meno riusciti in assoluto della carriera di Gitai. Peccato, perché dal soggetto di partenza le possibilità per fare di meglio c'erano tutte.


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