«Ho imparato il jazz da “Papaveri e papere”... Cantata però da mia madre»
Da Ravel ad Azzurro, da Erik Satie a Renato Carosone, il suo idolo incontrastato quando aveva undici anni: gli artisti e i brani che hanno accompagnato (e cambiato) la vita del celebre pianista
di Mattia Barro
3' di lettura
Stefano Bollani è un sorriso per la musica italiana nel mondo. Da oltre vent’anni si approccia al pianoforte con quel giocoso e ironico innamoramento da fanciullo che lo ha reso una jazz-star unica nel suo genere. Il suo ultimo lavoro, Piano Variations on Jesus Christ Superstar, è una rivisitazione inedita – per pianoforte solo – del capolavoro di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, ed esce a cinquant’anni dall’esordio dell’opera nei teatri americani. Per l’occasione, Bollani si è raccontato su IL con una playlist intima che ripercorre la sua storia di musicista.
La prima musica che ricordi della tua infanzia?
Da piccolo stavo molto con mia madre e lei mi cantava continuamente Papaveri e Papere. Essendo molto stonata, continuava a cambiarne la melodia e io non riuscivo a capire come fosse davvero quella canzone. A otto anni comprai il disco di Nilla Pizzi, e ne rimasi deluso perché la melodia era semplicissima mentre quella di mia madre era molto piu interessante. A modo suo, mia madre stava facendo jazz.
Qual è il primo brano che hai scelto di suonare e l’artista che ti ha ispirato?
A undici anni decisi di imparare Pianofortissimo di Renato Carosone. La mia insegnante mi disse che probabilmente era presto per la mia mano, e forse aveva ragione, ma io mi impuntai. Ero innamorato di Carosone perché era qualcuno che suonava il mio strumento; era una guida. A dodici anni gli mandai una lettera con una cassettina delle sue canzoni suonate da me. Incredibilmente mi rispose, dicendomi di studiare il blues che è la base di tutto.
C’è un brano che non sei riuscito a suonare?
A volte ho pensato «devo studiare troppo», e ho lasciato perdere. Ognuno ha le proprie difficoltà col pianoforte, che sia per un repertorio, un ritmo, un’attitudine. Io le ho incontrate con Concerto per la mano sinistra in Re Maggiore di Maurice Ravel. È bellissimo, ma a un certo punto mi sono detto: perché lo sto preparando? Non mi veniva naturale e ho pensato che probabilmente per molti musicisti là fuori, invece, poteva esserlo, e sarebbe stato meglio lasciarlo a loro. Forse non era la mia missione.
E la composizione che ti rappresenta?
È difficile scegliere un brano o un disco per descriversi. Per un motivo molto semplice e molto poco sentimentale, penso all’inizio di Que Bom, uno dei miei ultimi dischi. Sbucata da una nuvola è un riassunto, in pochi minuti, di una serie di cose che mi piacciono e che riconosco. Lo sento e mi viene da pensare: sì, questo mi sa che l’ho scritto io.
La canzone che invece racconta la tua Milano...
Ci sono così tante canzoni incredibili che raccontano Milano. Io ho una passione per Sopra i vetri perché e una canzone scritta da tre milanesi. Il testo è di Dario Fo, la musica di Fiorenzo Carpi e a cantarla c’e Enzo Jannacci. Che dire? Secondo me è la canzone milanese per eccellenza.
Per raccontare il contagio, la paura, la follia di questi giorni a cosa penseresti...
“Volare. Cantare. Nel blu dipinto di blu / felice di stare lassu” di Domenico Modugno. Meglio di così? L’idea di vedere le cose dall’alto. Certo, potremmo vederle anche ora, sicuramente, ma finito questo momento sarà ancora piu facile vedere “da lassù” e capire che cosa abbiamo combinato e che cosa possiamo fare. E quindi, volare.
Avete scoperto la playlist del cuore di Stefano Bollani: perché non ascoltarla? Potete farlo su Spotify, digitando questo indirizzo: https://sptfy.com/4R6p
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