«Holy Spider», la vera storia di un serial killer iraniano in concorso a Cannes
In lizza per la Palma d'oro il nuovo lungometraggio di Ali Abbasi, ma anche «R.M.N» di Cristian Mungiu
di Andrea Chimento
2' di lettura
Registi affermati e autori emergenti: un incrocio interessante al Festival di Cannes tra un nome importante come Cristian Mungiu e un giovane in cerca di affermazione come Ali Abbasi, che ha presentato in concorso sulla Croisette «Holy Spider», il suo terzo lungometraggio,
Al centro c'è il personaggio di Saeed, un padre di famiglia, intenzionato a compiere una “missione sacra”, ripulendo la città santa di Mashhad dalla prostituzione, simbolo per lui di immoralità e corruzione. Il modo che sceglie per portare a termine questa impresa è l'omicidio.Prendendo spunto dalla storia vera di Saeed Hanaei, serial killer iraniano che ha strangolato sedici prostitute, Abbasi ha realizzato un film capace di scuotere, nonostante un certo autocompiacimento di fondo che si rivela in alcune sequenze, un limite già presente anche nel suo penultimo lavoro, «Border» del 2018.
Una riflessione sull'Iran contemporaneo
Non è soltanto un film su un serial killer, «Holy Spider», ma anche una pellicola profondamente politica che parla di fondamentalismo religioso e maschilismo nell'Iran contemporaneo.Se le riflessioni proposte sono di indubbio spessore, meno avvincente è il lato thriller della vicenda, che vede coinvolta una giornalista arrivata in città per indagare su chi possa essere lo spietato serial killer. Davvero notevole, però, è la parte conclusiva dopo che l'assassino viene catturato: Abbasi non fa sconti e mostra una società in cui membri delle istituzioni e della popolazione arrivano a sostenere l'operato di Hanaei. Ma ancora più inquietante è il lato famigliare della vicenda e la ricostruzione degli omicidi fatta dai due giovanissimi figli dell'assassino.
R.M.N.
Non ha invece bisogno di grandi presentazioni il romeno Cristian Mungiu, uno dei nomi più importanti del cinema europeo contemporaneo, vincitore della Palma d'oro nel 2007 per «4 mesi, 3 settimane, 2 giorni».Con «R.M.N.» racconta alcuni giorni nella vita di un villaggio transilvano, concentrandosi in particolare su un padre di famiglia tornato a casa dopo un'esperienza di lavoro all'estero. Quando alcuni nuovi lavoratori dello Sri Lanka vengono assunti nel piccolo panificio locale, la pace della comunità viene messa a dura prova. Potente parabola sulla genesi del razzismo e su quanto si possa rimanere soli se ci si chiude al resto del mondo, «R.M.N» è un progetto ambizioso e ricco di stimoli e simbolismi.Con la consueta capacità narrativa e stilistica,
Mungiu mostra un villaggio che diventa presto metafora di una nazione (e, forse, non solo) vittima di xenofobia e paura di tutto ciò che arriva da fuori. Attraverso una messinscena rigorosa, il film cresce con il passare dei minuti fino a raggiungere un finale fortemente allegorico che conclude con coerenza tutto quanto accaduto fino a quel momento.Il risultato è uno dei film più importanti della prima settimana del Festival di Cannes e chissà che non possa trovare un posto nel palmarès conclusivo. Il titolo fa riferimento all’acronimo della risonanza magnetica nucleare, ma è chiaro il rimando al paese natale dell’autore.
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