I 30 anni dell’Erasmus: così è nata la generazione Europa
di Maria Luisa Colledani
4' di lettura
«L’Erasmus ha creato la prima generazione di giovani europei. Io la chiamo una rivoluzione sessuale, un giovane catalano incontra una ragazza fiamminga, si innamorano, si sposano, diventano europei come i loro figli»: la definizione è di Umberto Eco. E oggi che quella definizione è cronaca, a Strasburgo il Parlamento europeo celebra i trent’anni del programma che ha messo le ali al senso di Europa. In tre decenni l’Erasmus (acronimo di European Region Action Scheme for the Mobility of University Students) ha portato 4,4 milioni di ragazzi a studiare oltreconfine. Se si considerano anche gli scambi fra giovani, gli studenti dei professionali, i docenti, i volontari e il personale Erasmus Mundus, la cifra arriva a 9,1 milioni. Ai quali, secondo le stime, aggiungere 1 milione di bambini nati dagli «Erasmiani».
Tutto iniziò il 14 maggio 1987, quando, nonostante l’opposizione degli inglesi, a Bruxelles in Consiglio dei ministri fu votata la delibera che varava la nascita di un programma di studio all’estero. Il 15 giugno 1987 la ratifica e oggi, a Strasburgo, le cerimonie per un programma di grandissimo successo. Alla presenza del presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, e del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, si festeggia la cultura universitaria che ha fatto l’Europa e ci sarà spazio per 33 storie esemplari, una per ognuno dei Paesi Erasmus (per l’Italia, sarà premiato Gianni Cristian Iannelli, fondatore e ad di Ticinum Aerospace).
Oggi, in Europa, vive un’intera generazione di «Erasmiani»: «Non osavo sperare in un successo così, ma lo sognavo con tutte le mie forze», confessa Sofia Corradi, «mamma Erasmus», già docente di Educazione permanente all’Università Roma Tre e oggi avvolgente ed entusiasta cittadina del mondo, come era già nel 1957. «Quell’anno - ricorda -, grazie a una borsa di studio Fulbright, finanziata con la vendita all’asta dei residuati bellici della II Guerra mondiale, arrivai a New York in nave e trascorsi dodici mesi alla Columbia University dove conseguii un master in Diritto comparato». Di ritorno da quell’anno oltre Oceano Sofia Corradi trova alla segreteria dell’Università di Roma solo indifferenza e umiliazioni: non se ne parla neppure di riconoscere quel master della Columbia. E così inizia la battaglia di Sofia, combattuta a tenacia, insistenza e ciclostili: «Cercavo il dialogo con i rettori italiani e poi con i ministri dell’Istruzione in tutta Europa per far passare l’idea che gli esami sostenuti all’estero fossero riconosciuti anche nel Paese natale. Quell’anno negli Usa mi aveva convinto di due elementi: era necessaria una democratizzazione degli studi perché negli anni 60-70 gli scambi fra universitari esistevano ma se li potevano permettere solo i più abbienti; si poteva ottenere la promozione della pace mediante la conoscenza diretta fra i popoli». Sogno, utopia o forse «una storia donchisciottesca a lieto fine», come l’ha definita il Re di Spagna, Filippo IV, conferendo a Sofia Corradi il prestigioso premio Carlo V, che, in passato era stato assegnato a Mikhail Gorbaciov, Helmut Kohl e Jacques Delors.
Da Erasmus a Erasmus Plus
L’Erasmus, che ha ricevuto il nome da Domenico Lenarduzzi, figlio di friulani emigrati in Belgio, è stato potenziato a partire dal 2014 come Erasmus Plus, coinvolge oggi 69mila organizzazioni, fra università̀ e istituzioni di istruzione superiore in 33 Paesi e copre ambiti quali istruzione scolastica, educazione degli adulti e istruzione superiore/universitaria. Dal 2014 al 2020 sono previsti fondi pari a 14,7 miliardi di euro, per due terzi destinati a sostenere le opportunità di studio all’estero e per un terzo utilizzati per partnership e riforme a livello educativo.
In Italia, fin dal suo debutto nel 1987, lo studiare all’estero, con tanto di borsa e con la certezza di vedersi riconosciuti gli esami, ha riscosso successo: secondo Indire, l’Istituto nazionale documentazione e innovazione ricerca educativa, dall’Italia nel 1987-’88 partirono 220 ragazzi (il 6,8% del totale), lo scorso anno accademico sono stati quasi 34mila (l’11,7%). Per la Commissione, i Paesi dai quali arriva la maggior parte degli studenti sono Francia (39.985), Germania, Spagna, Italia e Polonia e le mete preferite sono Spagna (42.537), Germania, Regno Unito, Francia e Italia. Per il 61% sono ragazze, hanno un’età media di 24 anni e mezzo e stanno all’estero 5,3 mesi, ricevendo un assegno mensile di 281 euro. Ben lontano dalle 250mila lire che arrivarono da Bruxelles a Lucio Picci nel dicembre 1987 per coprire il suo trimestre all’Università del Sussex. «Ero assetato di mondo e, dopo la quarta superiore all’estero, cercavo tutte le occasioni per viaggiare e studiare, così partii senza indugio», ricorda Picci, da studente globetrotter degli anni 80 a ordinario di Politica economica all’Università di Bologna. «Quel trimestre rientrava nell’ambito degli scambi con altri atenei ma fu il primo Erasmus per il rimborso che mi venne riconosciuto e perché, il 17 dicembre 1987, due giorni dopo il mio rientro in Italia, sul mio libretto erano riportati i due esami sostenuti oltre Manica: Economia internazionale ed Econometria».
L’Erasmus è il Grand Tour dei nostri anni, ha cambiato le persone e ha costruito l’Europa a tal punto che la presidente della Camera Laura Boldrini, il giorno in cui sono iniziati i colloqui per l’avvio della Brexit, ha scritto su Twitter: «L’Erasmus dovrebbe essere obbligatorio per tutti i giovani perché crea un senso molto forte di cittadinanza europea». Quello che ha bisogno di essere alimentato giorno per giorno perché sono la cultura e le tradizioni di ognuno a fare la nostra identità europea e costruire una pace concreta.
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