Paola Antonelli (MoMa): «I buoni designer devono dare risposte alle emergenze»
Al Salone la curatrice del Museum of Modern Art di New York incentrerà gli interventi sulla circolarità come risposta alla crisi ambientale
di Marco Valsania
3' di lettura
Un mondo del design – e un Salone del Mobile di Milano – che sia sempre più specchio dei tempi, all’avanguardia di urgenti sensibilità ambientali e sociali. È l’invito di Paola Antonelli, nato dalla passione che le viene da anni trascorsi sulle frontiere d’una creatività che non solo convive con le emergenze e ma vuole esprimerle e affrontale, da guerre a disastri naturali o creati dall’uomo, facendosi assieme testimone e speranza di cambiamento.
Senior curator al Dipartimento di Architettura e design del Museum of Modern Art a New York, direttore di Ricerca e Sviluppo, non è un caso che a Milano sia anzitutto parte della giuria del SaloneSatellite. Fondato nel 1998 da Marva Griffin e dedicato agli under 35, spiega, «è una componente forse piccola in metri quadri, ma immensa come impatto, che ha dato il via a tantissimi designer ora famosi, come Matali Crasset e Marc Newson». La sua missione, scandita da un premio, è dare spazio a «giovani e scuole, perché possano mostrare il loro lavoro al pubblico del Salone».
Antonelli riassume così l’auspicato, stretto binomio di business e coscienza: «So che mantenere un’industria che rappresenta un fiore all’occhiello per l’Italia è importante, quindi spero ci siano molti compratori e vendite. Ma spero anche in discussioni approfondite su come il design può aiutare il mondo in un momento veramente complicato». Da sempre, lei è impegnata su aspetti scottanti dell’attualità, come l’economia circolare. Nel 2019 ha curato la XXII Triennale di Milano, Broken Nature, puntando lo sguardo sui compromessi legami tra uomo e natura.
Non basta: durante la pandemia ha dato vita assieme alla critica e autrice Alice Rawthstorn a Design Emergency, dapprima una piattaforma su Instagram e ora anche un podcast, per «occuparci di designer che fanno qualcosa per migliorare i destini del mondo». Iniziato tra chi faceva ventilatori e attrezzature mediche, ha adesso allargato il suo raggio d’azione: la più recente conversazione è stata con Julia Watson, «architetto che indaga sul sapere indigeno nel costruire infrastrutture e oggetti».
Milano, tra Salone, SaloneSatellite e la vasta rete di iniziative diffuse del FuoriSalone, diventa un’occasione per perseguire il suo lavoro di ricerca, «per vedere più che posso». Le è caro un altro appuntamento: il simposio Prada Frames organizzato da FormaFantasma, ovvero Andrea Trimarchi e Simone Farresin, che la vede tra i relatori: «È dedicato, con tono costruttivo, a una ricerca che riguarda anche l’ambiente, l’anno scorso sulle foreste, quest’anno sui materiali».
Al cospetto dei nuovi fermenti, Antonelli resta allergica a delineare rigide tendenze. «Non esistono più, appartengono al secolo passato. Piuttosto ci sono atteggiamenti, sensazioni di urgenze e un design, come la moda, molto connesso a queste urgenze – racconta -. L’emergenza ambientale è ovviamente sotto gli occhi di tutti, soprattutto dei designer più giovani». Questa sensibilità, continua, «si manifesta in tantissimi modi. Ad esempio nel parlare di circolarità, dell’intero ciclo di vita dei materiali. Nella sezione dove intervengo al Prada Frames si parla di rifiuti come nuovo materiale». Altre emergenze non sono oggi meno presenti: «Le crisi geopolitiche in Ucraina e in molte altre parti del mondo, terremoti e altre catastrofi, naturali o provocate dagli esseri umani». Senza dimenticare temi sociali e culturali, quali la fluidità di genere, e i rigurgiti di visioni reazionarie in tutto il mondo. «Che cosa hanno a che fare con il design? I designer non sono solo stilisti, che imbellettano prodotti e realtà; si occupano della vita, sono immersi nelle sue tragedie, nelle sue vittorie e nei suoi problemi». Ancora: «Non fanno solo belle sedie, ma rispondono a queste sfide, magari anche con una sedia».
Tra le sfide, però, non mancano quelle interne allo stesso mondo del design. Una su tutte preoccupa Antonelli: «Non è facile pagare l’affitto quando non ci si vuole occupare solo di prodotti, ma anche di questioni filosofiche, politiche e antropologiche. È tuttora difficile fare di questo design una professione». È un nodo che comincia con il percorso dell’educazione: «Molte scuole, una volta sovvenzionate dallo Stato, ora sono private e molto care. Gravano di debiti chi le frequenta, e all’uscita ovviamente si deve subito pensare al rientro finanziario. La dimensione più speculativa, dell’immaginazione, diventa poco incoraggiata».
loading...