I cavalieri del lavoro bocciano il Def. D’Amato: «Si torna al peggior assistenzialismo»
di Luca Orlando
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Un ritorno alla peggiore logica assistenziale. La negazione assoluta della strada maestra verso la crescita. È una bocciatura senza appello quella che arriva da Torino, dal convegno nazionale dei Cavalieri del Lavoro. Nel chiudere i lavori, il presidente Antonio D’Amato non fa del resto altro che sintetizzare gli umori della sala, imprenditori e manager premiati negli anni con l’onorificenza dal Presidente della Repubblica, che qualche minuto prima avevano salutato con un applauso lo sfogo di Patrizio Bianchi. «Mai visto - spiega l’economista e assessore allo sviluppo in Emilia-Romagna - un paese crescere con l’assistenza. Servono infrastrutture e investimenti, il resto sono chiacchiere».
Per D’Amato non ci sono dubbi: è possibile chiedere e forse anche ottenere deroghe dall’Europa per investimenti produttivi ma deroghe per assistenzialismo e clientelismo sono invece inaccettabili.
«Non c’è solo il costo dello spread - spiega - ma forse il rischio più elevato è quello di perdere pezzi dell’industria, se in noi imprenditori che dobbiamo investire e attrarre investimenti crolla la fiducia. La vera partita è quella della competitività e questa manovra è la negazione assoluta della strada maestra». Servirebbero riforme, una classe dirigente all’altezza delle sfide future e anche un modo diverso di confrontarsi politicamente. D’Amato, che in prima persona ha vissuto la tragica stagione degli attacchi ai giuslavoristi, feriti e ammazzati solo per le proprie idee, ha parole dure nei confronti di Di Maio.
«Sentire definire Renzi assassino politico per aver realizzato il Jobs Act - spiega - mi ha fatto venire un brivido. Il linguaggio è usato come veleno e questo significa creare una campagna di odio inaccettabile, su un tema che in questo paese ha già lasciato una traccia di sangue».
Tesi condivise della platea, tra molte bocciature e qualche giudizio sospeso, sulla manovra già ieri sonoramente sanzionata dai mercati, sia dal lato delle spread che nelle quotazioni di borsa, in particolare con il crollo delle banche.
«Le quotazioni però oscillano e questo non mi preoccupa – spiega il presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro – l'importante è vedere il contenuto della manovra. Capire quanta parte della spesa aggiuntiva sarà in grado di agire da moltiplicatore della crescita. Occorre che il potere d'acquisto si trasformi in maggiori consumi, per prodotti e servizi italiani. E naturalmente servono investimenti».
Sulla stessa linea il presidente di Generali. «Molto dipende da come saranno utilizzati questi soldi – spiega Gabriele Galateri di Genola – e in generale però dico che servono investimenti, non assistenzialismo». Netta invece la bocciatura del numero uno di Brembo. «Un disastro – scandisce Alberto Bombassei – e adesso dobbiamo vedere chi paga tutto questo, e toccherà al mondo produttivo. Al posto del Governo sarei più prudente nel cantare vittoria, l'immagine del balcone mi è parsa di cattivo gusto. Con questa manovra l'Italia perde la credibilità faticosamente conquistata nel corso degli anni».
«Bisogna capire dove vanno a finire tutti questi soldi – spiega il past president dell'associazione industriale bresciana e imprenditore dell’automotive Giancarlo Dallera – perché se alimentano solo la spesa corrente è un problema».
«Ad ogni modo – aggiunge il presidente di Illy Andrea Illy – io credo che alla fine non passerà in questo modo, deve superare la tagliola dei mercati, di Bruxelles, delle agenzie di rating. A Roma mi pare di vedere al lavoro degli apprendisti stregoni».
«Non è tanto il tema del deficit a preoccupare – aggiunge il presidente di Techint Gianfelice Rocca – quanto la composizione della manovra: ci stiamo occupando del passato e non del futuro, guardando più agli errori del passato che non ai giovani. Il reddito di cittadinanza? In un paese di “furbi” farei attenzione ad adottare questo meccanismo, oltretutto affidandolo a centri per l'impiego che negli anni non hanno occupato nessuno».
«Sono allibito e preoccupato – sintetizza Aldo Bonomi, imprenditore bresciano della meccanica – perché questa manovra non ci permette di pensare ad un futuro migliore: e poi, alla fine, per mantenere queste promesse saranno costretti a tassarci di più, già sta accadendo con l'aumento del costo del denaro».
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