I concessionari locali chiedono gli stessi poteri dell’Agenzia per il recupero crediti
Necessario superare il divario nell'accesso alle banche dati pubbliche
di Luigi Lovecchio
3' di lettura
Ben venga l’affidamento ai privati dei crediti erariali, ma a condizione che ci sia piena parità di armi rispetto ai poteri dell’agente della riscossione. Questa è una delle principali preoccupazioni che emerge dai primi pareri degli addetti ai lavori sulla novità contenuta nell’articolo 18 della legge delega di riforma del sistema fiscale.
La nuova norma prevede in primo luogo che i crediti affidati ad agenzia delle Entrate-Riscossione, decorsi cinque anni e salvo specifiche eccezioni, in caso di mancata riscossione vengano automaticamente discaricati, e cioè restituiti all’ente creditore (ad esempio, l’agenzia delle Entrate). In questo contesto, si inserisce la disposizione che stabilisce che l’ente creditore potrebbe decidere di promuovere una procedura a evidenza pubblica per affidare la gestione dei crediti discaricati a un soggetto privato.
Nulla è precisato in ordine alle qualifiche soggettive che dovrebbe possedere il privato. Sembra tuttavia logico immaginare di rivolgersi alle stesse società iscritte nell’albo di cui all’articolo 53 del Dlgs 446/1997, abilitate alla gestione delle entrate locali, per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, è evidente che la creazione di un nuovo elenco richiederebbe molto tempo. Inoltre, i soggetti in questione sono già in possesso sia dei requisiti “morali” normalmente richiesti per amministrare denaro pubblico (assenza di condanne, eccetera) sia del know how necessario per operare. Va infatti rilevato che la delega stabilisce chiaramente che il recupero coattivo delle entrate affidate debba avvenire sulla base del titolo II del Dpr 602/1973.
In proposito, si segnala che la riscossione degli operatori degli enti locali già avviene sulla base di tale disciplina, adottando a monte la cosiddetta “ingiunzione fiscale rafforzata” o l’accertamento esecutivo. Ciò per effetto della riforma attuata con la legge di Bilancio 2020 (legge 160/2019).
Non appare eccessivamente problematico il fatto che si tratti di crediti ultra quinquennali, atteso che, per la maggioranza delle entrate tributarie erariali, la prescrizione è decennale, e non quinquennale come avviene per i tributi comunali.
Dalle banche dati alla cessione
Un problema da risolvere preliminarmente, invece, riguarda la parità di poteri rispetto all’agente della riscossione. Nonostante numerosi solleciti e le chiare previsioni legislative, infatti, oggi i Comuni e i loro concessionari non hanno accesso completo ai dati dell’anagrafe tributaria, a partire dall’anagrafe dei conti finanziari. Questo significa rendere molto difficoltoso il pignoramento presso terzi.
Vi è poi un ulteriore tema sullo sfondo: quello della cessione dei crediti, tributari e non. Si tratta di uno strumento attualmente previsto dall’ordinamento ma largamente disapplicato per la lacunosità della disciplina: l’articolo 76 della legge 342/2000, per ciò che concerne la cessione dei crediti tributari, e l’articolo 8 del Dl 79/1997, per i crediti patrimoniali. Queste disposizioni non chiariscono, tra l’altro, quali sono i soggetti potenziali cessionari, le modalità di determinazione del prezzo di cessione, da porre a base d’asta (la procedura a evidenza pubblica sembra necessitata), e gli strumenti di recupero, se quelli di diritto comune (decreto ingiuntivo) oppure le facoltà pubblicistiche del Dpr 602/1973. Si dirà che il criterio di delega non sembra consentire tale opzione. Si può tuttavia replicare che lo stesso non può dirsi sulla riforma della riscossione dei tributi comunali, in relazione alla quale i principi di delega sono molto aperti. E che la cessione dei crediti può rappresentare la naturale evoluzione dell’affidamento a terzi in concessione, e quindi una forma di coerente completamento del criterio delegante.
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