I conflitti aziendali vanno repressi o può essere utile alimentarli?
Esprimere senza filtri il proprio pensiero conduce ad una visione chiara di cosa non funziona e permette di conoscere in profondità l’interlocutore
di Andrea Virgilio *
2' di lettura
Parlare di alimentare i conflitti aziendali potrebbe sembrare ai più strano, e potrebbe lasciare la maggior parte delle persone spiazzate o perplesse. Perché, infatti, dover alimentare dei conflitti interni all’azienda e sollevare potenziali polveroni? È arrivato il momento di superare il pensiero comune per il quale la felicità debba essere necessariamente intesa come sinonimo di benessere psicofisico costante, impassibile da fluttuazioni negative.
In natura, infatti, esistono diverse immagini metaforiche che fanno comprendere come il processo di realizzazione passi in maniera pressoché imprescindibile per qualcosa di negativo: un fiore per sbocciare necessita della pioggia, un bambino per imparare che il fuoco brucia deve scottarsi, un lavoratore alle prime armi per guadagnarsi esperienza deve lavorare sodo partendo dal basi. Insomma, spesso le cose belle nascono proprio da un’esperienza negativa o comunque da sudore e fatica.
La felicità, sia essa contestualizzata all’ambiente aziendale o meno, non può essere il frutto di una mera serendipity ma è un sentimento che ne richiede molti altri, inclusi la rabbia, la delusione, la tristezza e, perché no, anche la frustrazione. Forgiare un gruppo di persone veramente felici è più impegnativo di quanto si pensi, in quanto richiede di unire disparità e singolarità di pensiero e giudizio: una persona potrebbe ritenere una decisione corretta, mentre un suo collega potrebbe pensarla esattamente al contrario.
Qual è, quindi, la soluzione per trovare un punto di incontro? Discutere. Anche animatamente, se necessario. Confrontarsi è importante, certo, ma molto spesso il confronto implica una formalità valicante che non permette di esternare in toto le proprie sensazioni. Una discussione accesa, invece, intesa come esprimere senza filtri e remore il proprio pensiero, conduce ad una visione chiara e cristallina di cosa non funziona e permette di conoscere in profondità il proprio interlocutore, anche nell’essenza delle sue emozioni.
Se le persone si sentono libere di esprimere reciprocamente i propri dubbi, i propri malcontenti e la propria insoddisfazione sporadica, allora saranno davvero felici. E tutte l’ecosistema aziendale ne beneficerà.
Può essere utile, allora, stilare una guida ad uso interno per la risoluzione dei conflitti nella propria realtà aziendale: ad esempio, c’è un problema con un collega? Parlane direttamente con lui. La situazione è troppo tesa, e può essere utile avere un mediatore? Individuate allora una terza persona che possa fare da mediatore.
Insomma, un’azienda felice non si arma di paraocchi per rinnegare potenziali malintesi, ma cerca di comprenderne la natura e i meccanismi per gestirli al meglio. Anche se questo può voler dire conflitti e tensioni iniziali. Per poi, però, lavorare insieme ancora meglio.
* Chief Happiness Officer di Heply
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