Salvini e i costi sociali della parola “zingaraccia”
Cosa accade alla società se alcuni comportamenti diventano da osteggiati a consentiti? Ecco cosa ci insegna l'esperimento di tre studiosi statunitensi in occasione delle elezioni di Trump
di Vittorio Pelligra
5' di lettura
“Zingaraccia” è un dispregiativo. E non solo grammaticalmente, in virtù di quel suffisso, ma anche e soprattutto da un punto di vista espressivo, per il significato che a quel termine si attribuisce e per l'uso che di quel termine si fa nel contesto del clima sociale dell'Italia di oggi. Il fatto che tale disprezzo, poi, venga manifestato nei confronti di un membro di una minoranza etnica fa ancora più indignare, perché le minoranze, proprio perché minoranze, vanno semmai protette, tutte, quelle linguistiche, quelle politiche, quelle etniche. Qualcosa è, evidentemente, cambiato in questi anni, se è possibile usare pubblicamente simili espressioni senza paura di una perdita di reputazione, di un moto generalizzato di riprovazione, ma anzi, sperando in una crescita di popolarità e consensi.
La struttura di norme sociali che regola in un dato periodo la nostra convivenza sta, evidentemente, subendo una metamorfosi profonda e questi comportamenti, queste espressioni, questo linguaggio impunito, rappresentano al tempo stesso una conseguenza ma anche una delle cause di tale mutamento. Ci sono regole che traggono la loro valenza normativa dal fatto di essere largamente condivise e sostenute dall'approvazione e dalla disapprovazione di cui siamo fatti oggetto nel momento in cui decidiamo di conformarci o di violare tali regole. La violazione di una norma sociale comporta, poi, un sentimento di imbarazzo, di colpa e di vergogna. Emozioni che tutti noi vorremmo evitare; sono costi psicologici, che, evolutivamente, nascono per scoraggiare i devianti, chi viola le regole della convivenza. Questi costi psicologici sono come una tassa, che, incrementando il costo economico di un certo bene, agisce in modo da scoraggiarne l'acquisto.
Ma allora, cosa pensano, oggi, gli italiani degli “zingari”?Difficile dirlo, ma certamente lo sdoganamento di certe espressioni e di certi termini ha rimosso quella tassa e ha reso certi comportamenti, l'espressione pubblica di certe odiose opinioni, meno costi. E, se si abbassa il costo, certi comportamenti e l'espressione pubblica di certe odiose opinioni, emergono più numerosi e frequenti. A volte, per proseguire nell'analogia, non solo si elimina la tassa, ma si introduce un vero e proprio sussidio. Certe azioni, da socialmente riprovevoli e costose, diventano apprezzabili e convenienti. In questo modo il linguaggio dispregiativo e violento diventa causa del cambiamento culturale e della rimozione di norme che un tempo avrebbero bloccato e mitigato impulsi antisociali; ma quello stesso linguaggio e quegli stessi atteggiamenti si diffondono tra la gente sempre più frequentemente, allo stesso tempo, come conseguenza di tale cambiamento culturale. Origine ed effetto, effetto e origine, in un moto perverso di causazione circolare.
Non tutti abbiamo le stesse responsabilità in questa dinamica circolare. Alcune sono figure chiave, che per la loro particolarmente visibilità, rumorosità e attivismo, rappresentano veri e propri “norm entrepreneurs”, come li definisce Cass Sunstein. “Imprenditori delle norme”, che sono nelle condizioni di attivare potenti fenomeni di influenza sociale noti come “cascate informative”. Succede, per esempio, che il cittadino X non abbia un'idea precisa sul costo e sui rischi dell'immigrazione, però vede che il cittadino Y è particolarmente preoccupato dal fenomeno perché, pur non avendo un'opinione chiara in merito, il suo amico Z gli ha detto che c'è un rischio molto grosso di sostituzione etnica.
Ecco, allora, come in una situazione di mancanza di informazioni dirette e affidabili, in un clima di “verità alternative” e di notizie ambigue e inaffidabili, ci si possa anche accontentare di informazioni surrogate, di ciò che pensa l'amico dell'amico. (Sunstein, C., 2019, “How Change Happens”, MIT University Press). La potenza di queste cascate informative va, naturalmente, liberata e indirizzata. È qui che entrano in gioco le figure chiave con tutto il loro armamentario tecnologico di robot e robottini. Una volta aperta la diga, contrastare la forza di queste cascate, nuotare contro-corrente, sarà molto complicato. Al contrario, facilitarle e assecondarle, invece, sarà facile e politicamente molto remunerativo. Non c'è bisogno di far cambiare idea alla gente per ottenere certi risultati; a volte è sufficiente togliere i freni ai loro comportamenti, rendendoli, ora, socialmente meno costosi.
Alla vigilia dell'elezione di Donald Trump, nel novembre del 2016, Leonardo Bursztyn, Georgy Egorov e Stefano Fiorin, tre economisti di importanti università americane, escogitarono un esperimento per misurare in maniera precisa questo fenomeno. Due settimane prima dell'elezione vennero reclutati 458 partecipanti provenienti dagli otto Stati nei quali si sapeva che Trump avrebbe quasi sicuramente vinto. Ai partecipanti vennero sottoposte batterie di domande, test, e quesiti vari. Tra queste domande, una, in particolare, chiedeva se fossero disposti ad autorizzare i ricercatori a donare un dollaro alla “Federation for American Immigration Reform”, un'organizzazione di chiaro stampo anti-immigrazionista che fa attività di lobbying per influenzare in senso restrittivo la politica del governo americano. A metà dei partecipanti venne detto che tale scelta sarebbe rimasta anonima, mentre all'altra metà venne detto che la loro scelta sarebbe stata pubblica.
Un gruppo di partecipanti, poi, venne informato circa l'alta probabilità di vittoria di Donald Trump nel loro Stato, mentre ai restanti partecipanti non venne data nessuna informazione a riguardo. Gli appartenenti a questo secondo gruppo autorizzarono la donazione molto più frequentemente (54%) quando tale scelta rimaneva anonima rispetto a quando veniva resa pubblica (34%). Per quelli che erano stati informati circa la vittoria di Trump la condizione di pubblicità (46%) o anonimato (47%) non ebbe, invece, nessun effetto.
La prospettiva di vittoria di Trump faceva crollare tutti gli ostacoli di natura sociale nei confronti di certi comportamenti, per i quali non bisognava più sentirsi in colpa e quindi non era più necessario nascondere. Il test venne ripetuto nuovamente dopo una settimana dall'effettiva elezione di Trump portando gli stessi risultati: 49% di donazioni anonime e 48% di donazioni pubbliche. Non c'era più da nascondere le proprie posizioni anti-immigrazioniste. Cos'era cambiato? Niente. La vittoria di Trump, con il suo linguaggio esplicito, la sua storia personale meno che irreprensibile e le sue idee estreme, avevano resi socialmente accettabili comportamenti che prima lo erano meno (Bursztyn, L., Egorov, G., Fiorin, S., 2019. “From Extreme to Mainstream: The Erosion of Social Norms”. WP, University of Chicago).
Le dinamiche informative sono fenomeni potenti e non dovrebbero mai essere sottovalutate o sminuite. La posta in gioco è alta. Parliamo della qualità del nostro dibattito, del pluralismo della nostra società, della tutela delle minoranze, di diritti fondamentali e di importanti garanzie costituzionali. Materie sensibili, da maneggiare con cura. Se oggi, anche in Italia, le cascate informative portano verso lo sdoganamento dell'odio, del conflitto permanente, alimentato anche da una certa prepotenza istituzionale, è un problema di tutti. Dove sono i robusti salmoni capaci e disposti a risalire quella corrente per cercare di cambiarne il corso - o forse ancora di più - il senso. Dov'è la sollecitudine, la giustizia imparziale, la ragione umanitaria, la compassione e l'empatia? Dove si sono nascoste, impaurite, tutte quelle caratteristiche, quelle passioni morali che, primariamente, ci distinguono dagli altri animali?
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