I falsi amici di Baudelaire
di Chiara Pasetti
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Il 31 agosto ricorre il centocinquantesimo anniversario della morte di Charles Baudelaire (1821-1867), il quale sempre nel mese di agosto del 1857, a conclusione di un processo iniziato nel momento della pubblicazione de I Fiori del male, veniva condannato a trecento franchi di multa e alla soppressione di sei liriche per «oltraggio alla morale e ai buoni costumi». Due testi usciti recentemente restituiscono tutta la grandezza (e la sofferenza) del poeta attraverso punti di vista e vicende differenti. Il primo è un ritratto scritto da Nadar e uscito postumo nel 1911, un anno dopo la morte dell’autore: Charles Baudelaire intime, pubblicato per la prima volta in Italia per le edizioni Robin a cura di Ida Merello con l’ottima (e coraggiosa, essendo lo stile di Nadar particolarmente «denso e tortuoso»), traduzione di Albino Crovetto. Emerge un’amicizia con luci e ombre, non priva di stilettate reciproche (soprattutto da parte di Nadar, a dire il vero) e di aneddoti divertenti e curiosi, «che strappano il sorriso» non solo su Charles ma sulla «gioventù degli anni Quaranta e Cinquanta», che l’ormai anziano caricaturista disegna con lo stesso entusiasmo e abilità delle sue celebri immagini. Commoventi le parti in cui si fa riferimento alla rara sensibilità di Baudelaire che «trasalirà a tutte le vibrazioni», alla sua «anima delicata e fiera», al suo spirito e al suo cuore «che ha sete».
Ed è proprio questo aspetto, fondamentale e tuttavia meno conosciuto del poeta, il quale si lamentava di essere spesso dipinto «con i tratti del lupo-mannaro malfamato e scapigliato» (sono parole dello stesso Baudelaire), del perverso e del corrotto, che viene fuori in modo doloroso anche nel secondo, pregevolissimo testo Voi avete preso l’inferno. Lettere e scritti (1844-1869) a cura di Massimo Carloni (ed. Nino Aragno). Quest’ultimo ricostruisce, per la prima volta in traduzione italiana, tutti i tasselli del carteggio tra l’illustre, temuto e venerato critico Sainte-Beuve (1804-1869) e il suo petit ami libertin, Charles Baudelaire appunto. Un epistolario durato un ventennio, fino all’anno precedente la morte del poeta, a cui il curatore annette anche le lettere di Baudelaire al segretario di Sainte-Beuve, Jules Troubat, e le relative risposte, alcuni estratti dalla corrispondenza tra quest’ultimo e l’editore e amico di Baudelaire Poulet-Malassis, nonché la corrispondenza tra la madre del poeta e Sainte-Beuve; e ancora, nella sezione «Addenda», documenti e articoli firmati dai due protagonisti, il critico dei Lundis e il poeta, preziosissimi per ricomporre quella che Carloni definisce nell’elegante e acuta postfazione «l’anatomia di un’incomprensione».
Baudelaire ammira da sempre le opere di Sainte-Beuve e lo adora ancor prima di conoscerlo personalmente. Gli dedica e gli invia dei versi tra il 1844 e il 1845 in cui si dichiara «come un amante/Di fronte al fantasma, dal gesto istigatore». E come finemente nota Carloni questa «attrazione fatale», che sfiora «l’idolatria accecante», resterà la cifra del sentimento di Baudelaire nei confronti di uno dei letterati più autorevoli dell’epoca. Il quale ricambierà il costante affetto del «caro amico» con lettere gentili e condiscendenti, paterne quasi (o “patrigne”?), ma mai con gli articoli promessi sui lavori del «solo scrittore di quel tempo a proposito del quale si sia potuta pronunciare senza ridicolo la parola genio» (sono parole dell’amico Asselineau, non certo di Sainte-Beuve!). E passi (più o meno) per il mancato articolo, più volte sollecitato da Baudelaire, su Edgar Allan Poe, ossia sulle traduzioni degli splendidi racconti dello scrittore americano alla cui opera il poeta dei Fiori si dedicò tutta la vita. Sainte-Beuve, nel 1856, si giustifica per il ritardo nella stesura della tanto agognata recensione dicendo di averla «già in mente», e un anno dopo afferma che essa giungerà «quando sarà matura e cotta a dovere». Tuttavia doveva averla già digerita senza che nessuno ne avesse visto gli effetti, poiché quella sua «piccola idea» non comparirà mai. Ma che dire invece del mancato Lundi Baudelaire, ossia del momento in cui, usciti (e subito ritirati e processati) i Fiori del male («il vostro grazioso volume», lo chiama Sainte-Beuve…), era giunta l’ora per il critico di potersi esprimere sul suo «caro Figliolo»?! Dice bene ancora Carloni, il «prudente e calcolato silenzio» di Sainte-Beuve pesa su di lui «come un’onta indelebile», che Proust infatti denuncerà nel capitolo del suo celebre Contre Sainte-Beuve dedicato a Baudelaire (opportunamente pubblicato in apertura del volume). «Quando si è passata la propria vita a fare complimenti a tanti scrittori senza talento», scrive Proust (più tagliente Flaubert diversi anni prima affermava che Sainte-Beuve «raccoglie gli stracci più insignificanti, rappezza questi cenci e aggiungendo colla e filo continua il suo piccolo commercio»), come si può far passare sotto silenzio un capolavoro come I Fiori del male? Baudelaire, ed è più che comprensibile, soffrì molto per quello che ha tutto l’aspetto di un tradimento che gli veniva inflitto non da un uomo qualunque bensì dall’amato «zio», ma la sua fedeltà e il suo affetto nei confronti di colui che non solo aveva mancato di coraggio, amicizia e devozione, ma soprattutto di comprensione e dunque conseguente rivelazione di un talento poetico unico, non vennero meno fino alla fine della sua esistenza, conclusasi nella solitudine e nella malattia a soli 46 anni. Le poche, laconiche righe (presenti soprattutto in una lettera del 1857 e poi in uno scritto del 1862), non prive di elogi ma nemmeno di critiche, che colui che Baudelaire aveva eletto a mentore decise di dedicare ai suoi «fiori dal sapiente veleno», agli amici dell’epoca parvero una grave ingiustizia e agli scrittori successivi, tra cui appunto Proust, una vergogna condita di pavidità, gelosia, opportunismo e cecità. E Carloni illustra molto bene le ragioni di tale incomprensione e «miopia». Il lettore di oggi, leggendo la ricostruzione precisa e dettagliata della vicenda, non può non provare, allo stesso modo di Proust, un grande sdegno nei confronti di Sainte-Beuve, e una grande tenerezza nei confronti di Baudelaire, dipinto dal critico come «garbato, rispettoso, esemplare, gentile», ma mai come ciò che è stato, un genio straordinario. E vengono in mente le parole di Flaubert in Madame Bovary, di cui Baudelaire scrisse l’articolo ancora oggi più intelligente e illuminato: «Non bisogna toccare gli idoli, la doratura può restarci sulle dita». Forse per questo Baudelaire non ha mai voluto “toccare” l’amato, ancorché avaro e sibillino, maestro. Quella doratura non doveva restare sulle dita di un grande poeta, ma doveva uscire in tutta la sua luce fiammeggiante nelle sue liriche, per andare (e continuare) a brillare al di là dei confini delle sfere stellate. Dove Sainte-Beuve non lo raggiungerà mai.
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