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I fumi della fornace inebriano Valle Cascia

Un festival contro i pregiudizi diventa centro culturale permanente per ripensare il paesaggio

di Matteo Bianchi

Foto di Massimo Zanconi

3' di lettura

Un coacervo di prospettive intervenute da tutta Italia ha rianimato le sorti di Valle Cascia, la cittadina immersa nella campagna maceratese, grazie al festival “I fumi della fornace”, concepito dal collettivo Congerie per la fine di agosto. Sono state le opere degli artisti Antonio Marras e Cesare Pietroiusti a introdurre graficamente il tema della quinta edizione, dedicato alla voce, e restituendo due possibili declinazioni: rispettivamente la “voce del corpo” e la “voce dell'Altro”.

Ma di più, la voce come soffio, grido, frattura, invocazione, teatro e chiamata; come canto e contro-canto, senza limiti formali, ma seguitando a scegliere quelle rimaste assolutamente fuori, al pari dei versi “sbagliati” di Emilio Villa, che hanno inaugurato la festa della poesia: “siamo rimasti senza ordine e senza rivoluzione, / magnanimi e caduchi, e sembra bello / aver sbagliato in molti, in tutti”.

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L’altro è una risorsa

Secondo i direttori artistici Valentina Compagnucci, Giorgiomaria Cornelio e Lucamatteo Rossi, l'altro rimane “colui che viene”, ovvero l'incognita dello straniero che irrompe nel tessuto cittadino ridefinendone la demografia e sconvolgendone la geografia. Loro stessi, ripercorrendo gli esordi della manifestazione, si sono fatti altri rispetto al luogo di origine e, attraverso la leggenda della specie storta, sono usciti dai rispettivi abiti sociali consentendosi di ripensare le loro radici come fosse una seconda nascita.

Foto di Massimo Zanconi

Il mito della stortura

“La leggenda vuole che i cosiddetti fumi fossero la causa dell'eccentricità – afferma Cornelio – delle devianze sessuali e artistiche di noi giovani nati in loco; tuttavia abbiamo deciso di non zittire la malavoce, bensì di stravolgerla e renderla il nostro manifesto: il mito della stortura è diventato così la favola di fondazione”. E una fumata sporca si è purificata grazie a un esercizio di immaginazione collettivo, trainante: la prima formula festiva portata tra le persone era la processione per le vie del paese. Sebbene il filosofo Byung-chul Han ne “La società senza dolore” abbia condannato la performance in quanto espediente artistico superficiale e frettoloso, qui i performer non hanno privato di carica riflessiva i propri gesti, ma li hanno amplificati mimando le pose e le espressioni del cerimoniale occidentale, ma con un significato diametralmente opposto. Un significato impensabile e impossibile prima di riconoscersi come membri di una comunità in continuo cambiamento.

L’estrema periferia

Oggi la fornace ha smesso di nutrire mostruosi pregiudizi: il nuovo proprietario, l'imprenditore Paolo Dignani, con l'organico di Congerie intende trasformare lo scheletro mastodontico in un centro culturale permanente. Dunque un evento è riuscito a incoraggiare una mentalità resiliente e non refrattaria, quella che troppo spesso le risacche politiche impigrite guardano con sospetto e timore. I Fumi hanno ospitato per quattro giorni una comunità provvisoria nel ventre della periferia italiana, costituita da un credo molteplice e perciò inesauribile: storie e proiezioni della fornace di mattoni sono state il fulcro anche dell'Abbecedario dei paesaggi, il format con cui sono stati indagati i processi curatoriali legati alla riscrittura dei paesaggi, sempre tramite il gesto performativo e la narrazione favolosa.

“Mangiatene tutti”

Al posto del raccolto conseguente alla mietitura pagana, qui si celebra la “buona novella” che riverbera e ristora quanto il grano. Uno dei momenti più incisivi è stato la cottura dell'idolo di pane di Matteo Lucca, accompagnato dai canti di Elena Griggio durante il laboratorio “gli dei sono canti” per la rassegna “Diastema”. La condivisione di un corpo con cui sfamarsi insieme è avvenuta di fronte a una collettività non pacificata, ricostituendo un rituale dagli echi pagani che è spogliazione dell'uomo solamente umano e, al contempo, la sua metamorfosi. Parimenti, è avvenuto per il rito teatrale celebrato nella fornace riaperta per la prima volta con altro scopo: un teatro al tramonto orchestrato proprio da Cornelio, un “ufficio delle tenebre” a cui si giungeva in corteo, e che nel suo incastro di memoria e invenzione, di danza e violenza ha ricucito i lineamenti di un luogo con il suo passato secolare.


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