I giovani imprenditori: «Siamo il motore per far correre il Paese»
di Ilaria Vesentini
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«Vogliamo porre con forza al Paese la questione dell’importanza di investire su noi giovani e sulle imprese. Perché noi giovani, non solo per motivi anagrafici ma per indole e formazione, possiamo rafforzare la capacità di innovazione delle nostre imprese, promuovere la creatività, sviluppare nuove idee e progetti imprenditoriali, accelerando lo sviluppo del Paese e la trasformazione 4.0».Con queste parole Kevin Bravi, presidente dei Giovani imprenditori dell’Emilia-Romagna ha dato il via a Reggio Emilia alla 31esima edizione del Meeting del Nord-Est, chiamando a raccolta i 2.400 giovani colleghi delle Confindiustrie di Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige per discutere del tema “Giovani: motore d’Italia”, titolo dell’appuntamento 2018.
Start-up, innovazione tecnologica, passaggio generazionale, meritocrazia. Sono molti, ma non sono nuovi, i temi sul tavolo dei giovani industriali, con un comune denominatore: occorre che in Italia si faccia più spazio ai giovani. A maggior ragione in un’area, quella del Nord-Est, che è la forza motrice della ripresa nazionale e ha gli asset «da un lato per agganciare il Paese agli standard europei e dall’altro per trainare le regioni del Centro-Sud che viaggiano a marcia ridotta», sottolinea Alessio Rossi, presidente nazionale dei Giovani imprenditori di Confindustria. «Capisco le spinte autonomistiche delle regioni del Nord che chiedono maggiore velocità e si sentono zavorrate dal resto del Paese, ma non c’è futuro per un’Italia di regione autonome sul mercato globale». E i dati dell’Istat diffusi nelle stesse ore che raccontano un Paese ancora molto indietro in termini di digitalizzazione e capitale umano (il 63% delle aziende italiane è indifferente) corroborano la visione dei giovani industriali nordestini che serve «più formazione e confidiamo che gli incentivi del Piano Impresa 4.0 ci portino da qui a due anni a misurarci con dati migliori», aggiunge Bravi.
Sul palco dell’auditorium è un susseguirsi di storie di giovani che dopo aver lavorato all’estero sono tornati con successo in patria, come Mattia Pedon, 12 anni in Cina prima di tornare a occuparsi di cereali e legumi nel quartier generale dell’omonima azienda di famiglia nel Vicentino. O di giovani che al passaggio generazionale sono riusciti a imprimere un ruolo propulsivo e di cambiamento in azienda, come Francesca Amadori nel gruppo avicolo romagnolo fondato dal padre Francesco e Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria per l’Europa, al timone del gruppo reggiano di salumi e prosciutti creato dal padre Lauro nel 1956. «Nel mondo c’è grande fame di made in Italy e l’Italia ha grande fame di giovani che conoscano il mondo», dice la romagnola Licia Angeli del marchio fashion Nanan, vicepresidente nazionale Giovani imprenditori Confindustria, ricordando i numeri del fenomeno “reshoring” degli italiani emigrati all’estero: su 102mila italiani espatriati (ultimi dati Istat relativi al 2015), di cui la metà nella fascia 15-39 anni, 30mila sono tornati «e questo significa riportare in patria talenti con esperienze estere che possono rendere migliore l’impresa e un Paese che ha bisogno di accelerare sul fronte internazionalizzazione».
Altro tema chiave affrontato dai giovani a Reggio Emilia è infatti l’apertura delle imprese familiari ai mercati esteri, «un processo che noi giovani under-40, la generazione Erasmus e Ryanair che destreggia con perizia le tecnologie dell’informazione della comunicazione, potremmo accelerare rapidamente». Il problema, ricorda il presidente nazionale Rossi, «spesso non è nelle seconde o terze generazioni, ma in quelle precedenti che non hanno saputo programmare per tempo il passaggio generazionale». In uno scenario che vede una impresa su cinque alle prese con un passaggio di testimone da qui ai prossimi cinque anni si capisce la preoccupazione di fronte a dati che raccontano di «over 70 al timone di una società su quattro e di giovani laureati che non arrivano al 10% della forza lavoro nella maggior parte delle imprese italiane più innovative, contro il 40% della Spagna e il 50% della Germania», sottolinea il presidente dei giovani dell’Emilia-Romagna, Bravi.
Un gap di formazione e competenze hi-tech (quindi un gap di giovani) che anche Marco Grieco, Med advisory consumer products & retail leader EY, fotografa nella sua relazione finale al 31° incontro dei rampolli industriali del Nord-Est: «Se si prendono in esame le imprese coinvolte in programmi d’innovazione, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e Israele risultano sopra la media europea mentre Germania e Italia sono al di sotto. In particolare, in Italia il 55,1% delle Pmi risulta coinvolto in processi di innovazione, con un gap significativo rispetto al resto dell’Ue. E anche la spesa in R&S del nostro Paese rimane al di sotto della media europea. In questo quadro, le seconde generazioni dell’imprenditoria italiana possono incidere significativamente sulla capacità di innovare delle aziende, perché i giovani sono più informatizzati, più imprenditoriali, più internazionali e più collaborativi».
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