I leader africani chiedono giustizia climatica
Nella Dichiarazione di Nairobi l’impegno a ridurre le emissioni in cambio di un sostegno in chiave green
di Alberto Magnani
2' di lettura
Il paradosso è sempre lo stesso: l’Africa è il Continente che incide meno sulle emissioni globali e quello che soffre di più le conseguenze del climate change. Un divario che ha alimentato una richiesta politica, quella di una maggiore «giustizia climatica» a favore delle economie meno responsabili dell’emergenza ambientale e più vulnerabili alle sue ricadute, dalle siccità agli alluvioni che sommergono l’Africa occidentale.
Il pressing dei capi di Stato e di governo del Continente si è materializzato nella cosiddetta Nairobi declaration, la dichiarazione di Nairobi, il testo che farà da base negoziale nel braccio di ferro con i Paesi ricchi atteso al vertice emiratino. Il documento, firmato all’Africa Climate Summit dello scorso settembre, propone una sorta di accordo fra le economie africane e i partner internazionali, Usa e Ue in testa. I Paesi del Continente si impegnano a rispettare 15 obiettivi per la propria transizione ecologica, da una spinta sulla «industrializzazione verde» al raddoppio degli sforzi sull’agricoltura sostenibile, fino alla mobilitazione di 30 miliardi di dollari annui per colmare il gap di investimenti sulle risorse idriche.
La contropartita avanzata alle economie ricche, le stesse che scandiscono i tempi dell’agenda verde, ruota attorno a un pacchetto di richieste che va dal potenziamento dell’energia pulita a una nuova «architettura» finanziaria in chiave green. È il caso dell’appello a sostenere gli obiettivi di rialzo della capacità di generazione da fonti rinnovabili, alzando l’asticella dai 56 gigawatt del 2022 ai 300 gigawatt attesi nel 2030, fino alla proposta di una global tax che finanzi la transizione verde o il rafforzamento del cosiddetto Common Framework: l’iniziativa del G20 per facilitare la ristrutturazione del debito delle economie più fragili, un tasto sensibile per la regione africane e gli scenari di una crisi debitoria già scandita da default come quello dello Zambia nel 2020 e del Ghana a fine 2022.
Il testo emerso dal vertice climatico di Nairobi, destinato a una cadenza biennale, cerca di raccordare le sensibilità e gli obiettivi dei Paesi sotto il cappello dell’Unione africana: l’organizzazione che riunisce i 55 Stati del Continente e sta manifestando una identità politica sempre più netta.
L’armonia sulla carta lascia trasparire le inevitabili discordanze fra Paesi con grandezze, tessuti economici e ambizioni diversissime. La Nigeria, prima economia africana per Pil, deve bilanciare l’agenda verde con un’economia appesa alla sua ricchezza di greggio, fonte di circa l’80% dei suoi ricavi da export. Il Sudafrica, la più industrializzata, si ritrova a fronteggiare i malumori interni dei suoi attori economici, intimoriti da una transizione che penalizzerebbe un settore clou come quello estrattivo. Il Kenya, all’estremo opposto, è fra le forze più agguerrite negli investimenti in rinnovabili e non sembra aperto a concessioni.
La sintesi riemerge su un obiettivo comune, non a caso fra i pilastri della dichiarazione di Nairobi: il diritto a un «risarcimento» delle economie ricche nei confronti di quelle africane. Le vittime di un’emergenza nata da altri e pagata, finora, soprattutto da loro.
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