Mutui, la grande gelata del mercato. I micro-tassi non bastano più
Si accentua il calo della domanda nonostante prezzi a livelli mai così convenienti sia per il variabile che per il fisso. Tre i fattori: meno surroghe, incertezza politica, salari più bassi
di Vito Lops
4' di lettura
Nel 2019 qualcosa si è rotto, in tema mutui, in quell’equilibrio che dovrebbe regolare domanda e offerta. Secondo questa semplice legge dell’economia, offerta (prezzo) e domanda sono legate da una relazione inversamente proporzionale.
Se il prezzo è troppo alto la domanda tende a diminuire, quando invece il prezzo è molto vantaggioso la domanda non sta a guardare ed è pronta a cogliere l’occasione. Ma da qualche mese il mercato dei mutui ipotecari pare essersi svincolato da questo nesso. Mentre il prezzo (i tassi dei mutui sia variabili che fissi) è sceso ai minimi di tutti i tempi, la domanda anziché aumentare sta diminuendo.
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Nel mese di giugno le richieste di mutui (sia quelli di acquisto che di surroga, ovvero lo spostamento di un vecchio mutuo presso un’altra banca) sono scese dell’11,6% su base annua (dati Crif). Ma ciò che stupisce è che la contrazione va avanti ormai da inizio anno e non ha risparmiato nessun mese.
Nel frattempo però i tassi continuano a calare e viaggiano sui minimi di tutti i tempi. Oggi si può ottenere nella migliore delle ipotesi (mutuo non superiore al 50% del valore dell’immobile) l’1% sul fisso e lo 0,33% sul variabile. Quanto ai tassi medi siamo all’1,79% sul fisso e allo 0,88% sul variabile (dati MutuiOnline.it). Numeri mai visti prima.
Quest’anomalia entra a pieno diritto nell’elenco dei numerosi paradossi economici e finanziari che la nuova era del denaro facile (i tassi di interesse fissati dalle banche centrali nel mondo sono ai minimi termini e nell’Eurozona addirittura sottozero) sta facendo venire allo scoperto. Ma come mai i mutui stanno perdendo appeal nonostante le banche siano ben propense a erogare, come si evince dai tassi offerti?
Gli esperti annoverano almeno tre motivi. La prima ragione riguarda il fisiologico calo delle surroghe. Dopo aver dato una marcia in più al mercato dei prestiti ipotecari tra il 2014 e la prima metà del 2018 le surroghe (si sposta il mutuo in un’altra banca potendo modificare tasso e durata) e le sostituzioni (si sposta il mutuo in un’altra banca, ma si chiede una somma aggiuntiva rispetto al debito residuo e quindi bisogna richiamare in causa il notaio) sono in contrazione.
E questa non è una brutta notizia in senso lato, perché sta a significare che i mutuatari negli ultimi anni hanno svolto a pieno il loro compito, quello di aggiornare un vecchio finanziamento alle mutate condizioni di mercato.
Ma il calo delle surroghe da solo non è sufficiente a spiegare l’andamento debole, e inelastico rispetto all’offerta, della domanda degli aspiranti mutuatari. Perché è in calo anche la domanda di mutui per l’acquisto. «Il primo semestre 2019 - commenta Simone Capecchi, Executive director di Crif – si è caratterizzato per una significativa contrazione delle richieste di mutui e surroghe, cui si contrappone una crescita dell’importo medio richiesto.
Entrambe le dinamiche sono riconducibili primariamente al ridimensionamento del peso di surroghe e sostituzioni seppur si registrino segnali di rallentamento anche per la componente dei mutui d’acquisto, che comunque rimangono la parte preponderante. Al contempo, in questa fase va considerato l’atteggiamento più prudente da parte delle famiglie, che potrebbero aver deciso di procrastinare un impegno di investimento così importante e di lungo periodo come quello relativo all’acquisto della casa».
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C’è quindi anche il tema della prudenza (secondo motivo di debolezza), che frena fra l’altro l’intero mercato delle compravendite, oggi decisamente meno vivace rispetto a quello degli affitti come ricorda uno studio pubblicato ieri dalla Banca d’Italia condotto attraverso la banca dati del portale web immobiliare.it, che evidenzia un aumento medio dei prezzi di locazione del 3,3% nell’ultimo anno e del 2,2% a parità di caratteristiche dell’immobile.
«Esiste una fetta di aspiranti mutuatari che in questo momento è attendista - conferma Roberto Anedda, direttore marketing di MutuiOnline.it -. Pesano le incertezze politiche, come le voci secondo cui per attuare la flat tax il governo potrebbe attingere al bacino destinato alle detrazioni degli interessi passivi sui mutui prima casa e/o a quelle per la ristrutturazione. Molti stanno quindi aspettando di conoscere i contenuti della legge di bilancio del prossimo autunno per capire se questa sarà o meno penalizzante sul fronte mutui».
Se c’è prudenza sul futuro è anche perché molto spesso è difficile far quadrare i conti in famiglia. E qui siamo al terzo fattore che spiega la perdita di appeal dei mutui. I salari reali in Italia sono oggi inferiori a quelli di 10 anni fa, come ha rilevato l’istituto dei sindacati europei Etuc (European trade union confederation).
Inoltre, come evidenzia il Jp Salary Outlook 2019 le retribuzioni nel 2018 sono diminuite dello 0,3 per cento. L’inflazione, seppur bassa, è cresciuta più della Ral con la conseguenza di impoverire il potere d’acquisto di tutte le categorie (operai, impiegati, quadri e dirigenti). Nel 2018 lo stipendio medio netto era pari a 1.570 euro al mese.
Il che significa che, dato che le banche normalmente non concedono mutui la cui rata sia superiore a un terzo del reddito netto senza considerare altri debiti e 200 euro di spese per ciascun figlio a carico, la maggior parte dei lavoratori non è in grado di accendere a un mutuo se questo dovesse comportare una rata superiore ai 400-500 euro. Insomma, come ricordava l’economista Keynes ci possono essere casi in cui «l’acqua c’è, ma il cavallo non beve». Sul mercato dei mutui sta accadendo qualcosa del genere.
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