I nodi irrisolti del nuovo bazooka della Bce
Lo scorso 21 luglio – a pochi giorni dal decimo anniversario del famoso whatever-it-takes di Mario Draghi – la BCE ha annunciato il nuovo scudo anti-spread dell'area euro
di Marcello Minenna
9' di lettura
Lo scorso 21 luglio – a pochi giorni dal decimo anniversario del famoso whatever-it-takes di Mario Draghi – la BCE ha annunciato il nuovo scudo anti-spread dell'area euro. Ufficialmente battezzato «Strumento per la Protezione della Trasmissione» (Transmission Protection Instrument o TPI), il nuovo strumento prevede la possibilità di interventi mirati dell'Euro-sistema in caso di deterioramento delle condizioni di finanziamento di un paese membro dovuto a “ingiustificate e disordinate” dinamiche di mercato e tale da minacciare la trasmissione dell'azione di politica monetaria.
Lo stesso giorno la BCE ha messo fine all'era dei tassi negativi con un aumento dei tassi d'interesse di 50 punti base, il doppio di quanto pre-annunciato nella forward guidance di giugno. Secondo quanto dichiarato dalla Presidente Christine Lagarde, la decisione sarebbe dipesa da una valutazione aggiornata sui rischi d'inflazione rispetto al mese precedente. Resta però il dubbio che l'entità del rialzo abbia fatto parte di un più esteso compromesso tra falchi e colombe all'interno della BCE.
Carte in regola contro il rischio di frammentazione
Del resto la tempistica del lancio del TPI è stata dettata proprio dall'esigenza di predisporre un paracadute d'emergenza contro eventuali effetti indesiderati della stretta monetaria. Come noto, l'obiettivo primario del recente aumento dei tassi è riportare sotto controllo l'inflazione nella nostra area valutaria. Se però i costi di funding in una singola giurisdizione dovessero reagire in modo diverso da quello desiderato dalla banca centrale (come accadrebbe in caso di sell-off dei titoli emessi da uno Stato membro e conseguente allargamento eccessivo degli spread), l'efficacia della politica monetaria sarebbe compromessa.
In linea teorica il TPI ha tutte le carte in regola per adempiere allo scopo per cui è nato. Laddove si valuti un rischio troppo elevato per la trasmissione della politica monetaria, l'Euro-sistema potrà acquistare sul mercato secondario titoli con vita residua compresa tra 1 e 10 anni emessi dal settore pubblico del paese interessato (possibili anche gli acquisti di titoli di emittenti privati, se ritenuto appropriato) senza limiti quantitativi pre-definiti.Fin qui tutto bene: acquisti potenzialmente illimitati, ampia gamma di maturities residue (l'altro scudo anti-spread, le Outright Monetary Transactions o OMT, ammette solo quelle da 1 a 3 anni), priorità al debito di emittenti pubblici ma senza esclusione a priori di quello del settore privato.
Scelte lessicali
In economia, però, non esistono pasti gratis e il TPI non fa eccezione. Anzi, anche le singole parole sono state pesate con la massima attenzione, a partire dal nome della nuova arma della BCE: “strumento” anziché “meccanismo” per escludere – pare – qualsiasi allusione a possibili automatismi nell'utilizzo. Similmente le dinamiche di mercato che hanno causato il peggioramento delle condizioni di finanziamento del paese beneficiario dovranno essere “ingiustificate”, nel senso letterale che non dovranno essere giustificate dai suoi fondamentali specifici. E ancora: l'entità degli acquisti di titoli da parte dell'Euro-sistema dipenderà dalla “severità” del rischio di frammentazione per la politica monetaria. Parole chiaramente ispirate dalla volontà di improntare l'operato della BCE a quel principio di proporzionalità il cui rispetto è stato messo in discussione più di una volta dai paesi core.
Criteri, non condizioni
Ancora più del lessico, sono i criteri di ammissibilità (eligibility) a circoscrivere il perimetro dei potenziali beneficiari. Senza grandi sorprese, si tratta di criteri che hanno a che vedere con la solidità e la sostenibilità delle politiche fiscali e macro-economiche. La giurisdizione beneficiaria del TPI non dovrà essere soggetta a procedure per disavanzi o altri squilibri macroeconomici eccessivi e dovrà essere rispettosa degli impegni assunti per accedere alle risorse del Fondo Europeo di Ripresa e Resilienza. Inoltre, il suo debito pubblico dovrà trovarsi su un sentiero sostenibile e, a tal fine, la BCE terrà conto delle proprie valutazioni interne e, ove disponibili, di quelle della Commissione Europea, del Meccanismo Europeo di Stabilità e del Fondo Monetario Internazionale.
Questi criteri – l'ultimo in special modo – richiamano alla mente la Troika, cioè la triade formata da BCE, FMI e Commissione Europea che anni fa sovrintese ai programmi di assistenza finanziaria ad alcuni paesi periferici. E la finalità è chiara: come per gli altri programmi d'intervento che riguardano selettivamente un solo paese, si vogliono escludere misure che potrebbero disincentivare quel paese dal perseguire una politica fiscale oculata e responsabile.
Marginalmente, è interessante notare che alcuni analisti hanno visto un riferimento circolare nel criterio sulla sostenibilità del debito pubblico, perché per un paese che emette debito denominato nella seconda valuta di riserva internazionale più importante del pianeta, quel debito è sostenibile fintanto che la sua banca centrale ritiene che lo sia.Ci sono però anche delle note positive nel modo in cui i criteri di eligibility sono stati inseriti nell'architettura del TPI. Uno di essi è la rivedibilità: è previsto, infatti, un possibile aggiustamento dinamico in relazione ai rischi e alle specifiche situazioni che potrebbero venire a crearsi. Quindi, se la BCE si rendesse conto di aver stabilito criteri troppo rigidi, potrebbe anche decidere di allargare un po' le maglie (ovviamente potrebbe esserci anche il caso opposto). Un altro aspetto positivo, almeno sul piano formale, è che sono appunto criteri e non condizioni vincolanti. Infatti, l'attivazione del TPI non è subordinata alla richiesta del paese interessato né quest'ultimo è costretto a sottoscrivere programmi di aggiustamento macro-economico (i famosi Memorandum of Understanding) che lo impegnino a realizzare determinate riforme secondo un calendario prefissato, come accade invece nel caso delle OMT. Pragmaticamente, si è cercato di minimizzare la possibilità che il nuovo strumento della BCE possa essere associato a uno stigma dei mercati e dell'opinione pubblica come è stato per altre misure di supporto a singoli Stati membri da parte delle istituzioni Europee.
Rischio di politicizzazione
A decidere in merito all'attivazione del TPI sarà il Consiglio Direttivo della BCE che si pronuncerà ad esito di una valutazione complessiva degli indicatori di mercato e di trasmissione della politica monetaria, dei criteri di ammissibilità e di un giudizio sulla “proporzionalità” dell'intervento rispetto all'obiettivo primario della stabilità dei prezzi.
Dunque non è previsto nessun innesco specifico, nessuna soglia da oltrepassare che faccia scattare automaticamente l'intervento dell'Euro-sistema. Da un lato anche questo è un aspetto positivo, perché spesso l'individuazione di triggers precisi invoglia i mercati a testare la credibilità dell'impegno assunto da una banca centrale. Dall'altro lato, tuttavia, la valutazione rimessa al Consiglio Direttivo incorpora un ampio margine di discrezionalità col rischio di una politicizzazione del dibattito al suo interno che potrebbe tradursi in un'ingerenza sulla politica economica e fiscale dei singoli Stati membri.
Un altro dettaglio di nota è il richiamo (stavolta esplicito) al principio di proporzionalità. Questo principio è sancito nei Trattati Europei ed è proprio asserendone la violazione che, a maggio 2020, la Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe ha messo in discussione la legittimità del programma di acquisti di titoli del settore pubblico, il PSPP, lanciato dalla BCE nel marzo del 2015. All'epoca la pronuncia della Corte tedesca non ebbe conseguenze perché alla fine, nel clima di solidarietà creato dalla pandemia, furono accettate le controdeduzioni della BCE. Va però notato che un eventuale irrigidimento dei giudici tedeschi avrebbe potuto condurre all'uscita della Bundesbank dal PSPP e che comunque si è trattato di un pericoloso precedente: il Tribunale di Karlsruhe si è infatti ritenuto competente ad esprimersi su un provvedimento della BCE la cui legittimità era stata già sancita da una sentenza della Corte di Giustizia Europea. È pertanto verosimile che il richiamo al concetto di proporzionalità nelle regole d'ingaggio del TPI punti a rassicurare i paesi core che questo strumento sarà usato con la massima prudenza e parsimonia.
No alla capital key
Del resto si tratta di un dispositivo che, per costruzione, viola la capital key, cioè il criterio secondo cui gli acquisti di titoli di ciascuna giurisdizione dell'area euro devono essere proporzionali alla quota di capitale della BCE sottoscritta dalla rispettiva Banca Centrale Nazionale.
Al riguardo è importante sottolineare l'evoluzione positiva nell'atteggiamento di Francoforte. Dopo il PSPP, che si conformava (con minime deviazioni) alla capital key, già il PEPP – il programma di acquisti varato in risposta all'emergenza pandemica – ha previsto ampia flessibilità rispetto al criterio in questione e adesso il TPI ne prevede l'aperta violazione con acquisti selettivi a beneficio di determinati paesi.
A parte le OMT (che però prevedono rigide condizionalità e che comunque sinora non sono mai state attivate), l'altro precedente storico è stato il Securities Markets Programme (SMP), il programma di acquisti di titoli periferici varato a maggio del 2010. Allora però c'era una crisi in atto da gestire (con la Grecia sull'orlo del default) e alcuni governi si erano già impegnati ad accelerare il consolidamento fiscale e assicurare la sostenibilità delle loro finanze pubbliche. Stavolta, invece, siamo di fronte ad una facility che Francoforte ha deciso di istituire in ottica preventiva e senza precisi impegni da parte di nessun paese membro.
Nella logica compromissoria che ne ha caratterizzato la definizione, il design del TPI include una serie di aspetti cautelari dal punto di vista della Germania e degli altri paesi core che fanno da contraltare agli acquisti selettivi.
In questa prospettiva, oltre ai criteri di ammissibilità, s'inquadrano anche le regole previste per la disattivazione del nuovo strumento e per il suo coordinamento con la stance di politica monetaria. Sul primo punto è stato specificato che gli acquisti termineranno quando si riscontrerà un miglioramento duraturo nella trasmissione della politica monetaria ma, in alternativa, anche quando si riterrà che le tensioni persistenti siano dovute ai fondamentali del paese interessato. Per quanto attiene l'impatto degli acquisti di titoli connessi all'eventuale attivazione del nuovo scudo non c'è un impegno esplicito alla sterilizzazione (come fu invece per il SMP). Tuttavia, è difficile immaginare che si possa evitare una smobilizzazione dei titoli nel lungo termine, poiché si è deciso che gli acquisti non dovranno avere un impatto persistente sul bilancio complessivo dell'Euro-sistema.
Silenzio sul risk sharing
Uno degli aspetti più controversi dell'architettura del TPI riguarda poi la condivisione dei rischi – risk sharing – sui titoli acquistati. Nei programmi più recenti (PSPP e PEPP), il risk sharing ha avuto un peso residuale perché la BCE ha comprato direttamente solo una minima quota dei titoli di debito pubblico emessi dai singoli paesi membri. La maggior parte degli acquisti è stata invece effettuata dalle Banche Centrali Nazionali, ciascuna per i titoli emessi dalla propria giurisdizione. In tal modo ogni Banca Centrale Nazionale ha assunto esposizione verso il proprio rischio-paese ma non verso quello di altri paesi, per cui non subirebbe perdite se uno di questi facesse default. Nel PSPP questo aspetto è stato chiarito sin dall'inizio, mentre non è stato minimamente affrontato nella presentazione del nuovo scudo anti-spread. Tuttavia, appare poco probabile che si sia optato per la condivisione dei rischi, anche considerato che – come si è detto – già col risk sharing ai minimi termini del PSPP la Germania ha sollevato obiezioni di legittimità.
Il rapporto con gli altri strumenti della BCE
Nel presentare il nuovo strumento, la BCE ha voluto infine contestualizzarlo rispetto ai due dispositivi già presenti nella sua cassetta degli attrezzi per contrastare il rischio di frammentazione della politica monetaria: il PEPP e le OMT.
Il programma pandemico, e segnatamente la flessibilità nel reinvestimento dei rimborsi sui titoli in scadenza, resterà «la prima linea di difesa» contro i rischi di frammentazione collegati alla pandemia. La conferma è arrivata in settimana con la diffusione dei dati sulla ripartizione dei reinvestimenti tra le diverse giurisdizioni nel bimestre giugno-luglio 2022. I dati evidenziano, infatti, che i riacquisti hanno nettamente privilegiato i paesi periferici a svantaggio di quelli core. In particolare, Italia e Spagna si sono aggiudicate acquisti rispettivamente 9,8 e 5,9 miliardi di euro con liquidità proveniente in larga parte dai rimborsi di titoli di Stato tedeschi (€ 14,3 miliardi) e, in misura molto minore, francesi (€ 1,2 miliardi). Come conseguenza, sono cresciute notevolmente le deviazioni cumulate degli acquisti effettivi del PEPP rispetto a quelli coerenti col criterio della capital key .
Occorre tuttavia ricordare che i reinvestimenti del PEPP hanno una capacità limitata, senza contare che non ci sono garanzie che nei prossimi mesi resteranno così tanto biased a favore dei paesi periferici. Anche per questo è cruciale capire quali siano le reali condizioni previste per l'utilizzo del nuovo strumento.
Qualche indizio è trapelato – seppur indirettamente – dalle dichiarazioni sulle OMT rilasciate a luglio dalla Lagarde. La Presidente della BCE ha, infatti, detto che le OMT sono lo strumento a disposizione dell'Euro-sistema per gestire problemi nella trasmissione della politica monetaria «causati dai rischi di ridenominazione e specifici di un paese». Il vecchio scudo anti-spread sembrerebbe quindi destinato alla gestione dei casi patologici, quelli in cui un paese è prossimo a uscire dall'unione monetaria perché i suoi fondamentali non sono in ordine. Il nuovo (TPI), che ha criteri di attivazione meno cogenti, apparirebbe invece destinato alla gestione di situazioni imputabili esclusivamente a condotte irrazionali e disordinate dei mercati.
In concreto, però, i problemi di finanziamento di un paese derivano spesso da un mix di fattori idiosincratici e di reazioni disordinate e incontrollate dei mercati. Ad esempio, quando il rischio di ridenominazione dell'Italia ha raggiunto livelli altissimi tra la seconda metà del 2011 e la prima metà del 2012, era colpa dell'irrazionalità dei mercati e della speculazione contro il nostro debito pubblico, oppure era colpa dei nostri fondamentali specifici (anche se all'epoca metà Eurozona stava collassando insieme a noi)? Anche se magari non avremo mai una risposta chiara a questa domanda, le sue implicazioni appaiono rilevanti per garantire l'efficacia del nuovo bazooka della BCE.
Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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