Violenza sulle donne

I nodi da sciogliere nella riforma del processo civile

Molti i passi avanti per rendere più efficace la tutela, ma restano i punti deboli delle consulenze tecniche e della mediazione. Fondamentale la formazione di tutti gli operatori

di Chiara Di Cristofaro e Livia Zancaner

(AdobeStock)

I punti chiave

  • Tenere conto della violenza nei casi di separazione e affido
  • Ascoltare il minore per capire le sue ragioni
  • La centralità del giudice
  • Dal Codice Rosso alla riforma del processo penale

3' di lettura

Una maggiore tutela per le donne vittime di violenza è necessaria anche nelle aule dei Tribunali. Se ancora troppe donne non denunciano la violenza subìta, in parte, le motivazioni risiedono nei timori di passare dal ruolo di vittima a quello di imputata, in aula. E, ancora, di vedersi sottratti i figli in procedimenti di separazione in cui non viene tenuto in considerazione il contesto di violenza. Le riforme dei processi penale e civile volute dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, puntano anche a migliorare la tutela delle donne in aula, perché non debbano subire quella che viene chiamata «vittimizzazione secondaria».

Tenere conto della violenza nei casi di separazione e affido

L’attenzione si concentra soprattutto sul disegno di legge di riforma del processo civile, visto che dal lato penale le novità principali in tema di violenza di genere sono arrivate già nel 2019 con il c.d. Codice rosso. Il DDL, arrivato in aula alla Camera il 22 novembre, è stato già approvato dal Senato lo scorso 21 settembre. Tra le principali novità, l’istituzione del Tribunale della famiglia, che si occuperò di separazioni, divorzi e affidi. Ad oggi, la necessità di tenere conto della violenza domestica nelle decisioni di separazione e di affido di figli minori è una esigenza ancora troppo spesso disattesa, senza tenere conto della violenza a cui i minori hanno assistito – e quindi hanno anche subito – in casa. «La violenza deve essere letta anche in sede civile, questo è uno dei punti più importanti che abbiamo affermato». La senatrice Valeria Valente è la presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, che è intervenuta in fase di approvazione della legge per richiamare al rispetto dei principi della Convenzione di Istanbul e ha ottenuto risultati notevoli.

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Ascoltare il minore per capire le sue ragioni

«Già la legge sul Codice Rosso ha imposto una circolazione di atti per rendere effettivo il principio dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul che impone sempre di considerare la violenza assistita prima di decidere sull’affidamento dei figli minori. La riforma rafforza questa indicazione», spiega il magistrato Fabio Roia, Presidente vicario del tribunale di Milano e membro della Commissione. L’ascolto del minore, nelle cause di affidamento, è un altro tema centrale: «Abbiamo affermato l’obbligo da parte del giudice di non delegare più l’ascolto del minore e di porre al centro il suo pensiero – dice ancora la senatrice Valente - le donne nei casi di affido vengono spesso accusate di ostacolare il rapporto col padre, anche se violento. Serve invece l’ascolto vero delle ragioni del minore che può dire e spiegare perché non vuole vedere il padre».

Il giudice torna ad essere centro decisionale

Fondamentale anche riaffermare la centralità del giudice: «Con la riforma i consulenti tecnici vengono limitati come gli assistenti sociali nel loro ruolo ausiliario alla decisione del giudice – sottolinea Fabio Roia - che ritorna ad essere giustamente il centro decisionale della vicenda Ovviamente dovrà essere un giudice specializzato». Restano, comunque, nodi da sciogliere: «Andrebbe limitata la necessità dell’accordo sul piano genitoriale in alcuni casi – dice ancora Valente - perché se c’è violenza è impossibile qualsiasi tipo di accordo». La mediazione familiare è uno dei punti critici messo in evidenza anche dalle avvocate di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, oltre al tema delle consulenze: «Il consulente del giudice dovrà attenersi ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica ed essere specificamente formato al riconoscimento della violenza», scrivono le avvocate in un documento inviato alla Commissione giustizia della Camera. Formazione, quindi, e decisioni basate su teorie riconosciute dalla comunità scientifica, non equiparazione del maltrattante e della vittima nel loro ruolo genitoriale, trasparenza nelle relazioni dei servizi sociali. Tutti elementi che le avvocate della rete dei centri antiviolenza ritengono necessari per evitare, ancora, la vittimizzazione secondaria.

Dal Codice Rosso alla riforma del processo penale

Le modifiche più rilevanti alla disciplina penale e processuale della violenza di genere si devono alla legge 69/2019, ovvero il Codice rosso, che ha sancito un netto inasprimento di pene e sanzioni e interventi più rapidi. In questo filone, la riforma Cartabia divenuta legge il 23 settembre 2021 amplia le tutele già previste dal Codice rosso, per esempio estendendo l’applicazione di alcune norme ai reati tentati, e fa un passo avanti nel favorire quel dialogo tra civile e penale nel caso delle separazioni, così fondamentale come si è visto. Ma i margini di miglioramento ci sono e sono ampi: «Per esempio – dice Fabio Roia – bisognerebbe intervenire subito per coordinare la possibilità oggi prevista di arrestare un soggetto che violi una prescrizione del divieto di avvicinamento a una donna vittima di violenza di genere con il divieto poi di applicare misure cautelari per questo specifico reato. È una anomalia di raccordo di forbici edittali». Una anomalia, tra le altre, che se corretta potrebbe contribuire a mettere in sicurezza le donne in pericolo.

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