I pavimenti dell’Europa vanno lavati a turno
Come in tutte le convivenze anche quella tra i Paesi europei è stata scandita dalle liti. Un equilibrio fragile: regge o non regge questa Europa? Poi è arrivato il Covid-19 che ci ha impartito la lezione più potente, ancorché la più dolorosa: tutti colpiti, ne usciamo soltanto se siamo responsabili e uniti
di Paola Peduzzi
3' di lettura
In decenni di buon vicinato, noi europei abbiamo imparato le leggi della convivenza: abbiamo messo in comune i mercati, i confini, le direttive e la nostra moneta. Siamo cresciuti – prosperi e in pace – superando le diffidenze e le differenze, costruendo un progetto di convivenza unico al mondo. Abbiamo litigato, durante, abbiamo pianto e abbiamo scalciato, perché alcune eccezioni sono importanti, non siamo tutti uguali anche se viviamo tutti insieme.
Lo facciamo ancora oggi, perché in natura non esistono convivenze che non siano litigiose, è l'animo umano che ogni tanto ha bisogno di urlare: non voglio vederti mai più. Ecco, le crisi da convivenza, nella nostra Europa, sono state moltissime, eppure abbiamo continuato a invitare nuove persone, a volte accogliendole con il nostro stesso stupore: dovremo imparare ad andare tutti d'accordo, ci siamo detti. Negli ultimi anni la crisi è stata più dura del solito: un istinto identitario sempre più aggressivo ha incrinato molti rapporti, ha fatto crescere i nazionalismi e gli strongmen, e c'è stata la Brexit.
Le liti hanno scandito la nostra vita recente, un po' logorandoci e un po' facendoci riscoprire la nostra unicità: unicità collettiva, ché per una volta è la nostra unione a renderci speciali. Ma l'equilibrio è fragile, gli occhi di tutti sono puntati addosso: regge o non regge questa Europa? Poi è arrivato il Covid-19 che ci ha impartito la lezione di convivenza più potente, ancorché la più dolorosa: tutti colpiti, ne usciamo soltanto se siamo tutti responsabili, e uniti.
La più locale delle sciagure ha imposto la più globale delle risposte: se io mi chiudo in casa e tu no, siamo tutti a rischio. Vale per mio marito, per il mio coinquilino, per il mio dirimpettaio e via via allargandosi per tutte le nazioni del mondo, ancor di più per noi europei che viviamo di scambi – commerciali, legislativi, personali e culturali. Per un attimo ho pensato che non ce l'avremmo fatta, che la crisi di convivenza già in corso sarebbe diventato divorzio di massa: i confini, le dogane, le file lunghe, quei leader che hanno coltivato la presunzione dell'eccezione e hanno accumulato un ritardo sciagurato.
Noi italiani che siamo stati colpiti dal Covid-19 per primi, e fortissimo, ci guardavamo attorno attoniti: perché non fate come noi? Settant'anni di vita insieme e avete sempre pensato di essere voi i migliori? La convivenza con le sue regole e le sue compensazioni ha avuto di nuovo il sopravvento. Nella pandemia dell'universalismo, chi è abituato a condividere i propri spazi riscopre un vantaggio, proprio come quei cartelli attaccati all'ingresso del condominio: faccio io la spesa per tutti, lasciatemi la lista nella casella della posta.
Ogni cosa è diventata vicina, quel che davamo per scontato – uscire di casa! – è oggi un desiderio inaspettato, un pensiero davanti alla finestra, e questo nuovo ordine ha rimesso a posto le priorità. Non che sia semplice: la crisi è in agguato, sta nascosta nei cavilli più o meno espliciti delle leggi d'emergenza. Sta nascosta nei progetti distruttivi di quegli uomini forti che trasformano l'epidemia in un'occasione di potere e di chiusura: vedi mai che non ci devo più stare, alle vostre regole.
Ma questa convivenza europea ci ha dato un'altra lezione: non si sta insieme sperando che sia qualcun altro a lavare i pavimenti, mentre si finge solerzia soltanto per quel che in fondo asseconda il proprio interesse. I tuoi affari prima dei miei non vale più: non ci sono colpe in questa crisi, ognuno dovrà stare all'erta per difenderci tutti insieme, più scrupolosi, più adulti, più attenti ad avere cura degli spazi comuni.
Vale oggi e varrà ancor più domani, quando le conseguenze delle quarantene diventeranno conti che danno risultati negativi e gli spazi comuni saranno un pochino più fatiscenti, e noi un po' fragili. Perché «ci rincontreremo», come dice la Regina d'Inghilterra. È una promessa, è una responsabilità, è una dichiarazione d'amore e di cura. E spero che sia la più grande lezione di questa epidemia, una lezione di convivenza.
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