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Talune “Massime e riflessioni” Wolfango Goethe pubblicò in vita; altre si dettero in ristampa dopo la morte. Se ne ha in Italia una piccola antologia, un prezioso breviario, con note e richiami di Giuseppe Zamboni.Sono sobrie proposizioni, in cui uno spettatore di altissimo rango osserva fatti della vita, pregi e difetti degli uomini, nascita e tramonti di idee.
Sono sobrie proposizioni, in cui uno spettatore di altissimo rango osserva fatti della vita, pregi e difetti degli uomini, nascita e tramonti di idee. Non hanno il tagliente e rude stile dell’aforisma, ma la pacata conclusione d’un ragionamento. Sono un libro da tenere sul tavolo di lavoro, da riaprire a caso, da rileggere a conforto o critica di propri dubbi. Non la massima si svolge in riflessione, ma la riflessione si condensa e raccoglie in una mattina.
Come dimenticare quella proposizione in cui si legge «nulla essere così terribile come l’ignoranza attiva». Si badi, non la semplice ignoranza, il non sapere questa o quella cosa, l’una o l’altra nozione: che può essere stato di quiete o di riposata serenità. Ma la «ignoranza attiva» (tätige), a cui si accompagna la vanità del fare, dell’intraprendere opere, o di entrare nel giuoco dei fini e degli interessi. Il pericolo è qui, proprio nell’attività, nella pretesa di saccenteria, nel valutare poco o nulla gli altri, e molto e troppo se stessi. Ignorante – si badi – non è l’incompetente, colui che non conosce la tecnica di un apparato o il funzionamento di una macchina, ma quegli che non sa le cose del mondo e il destino degli uomini, e non ha la sintesi dello sguardo tutto abbracciante.
E perciò si danno – e assai ne incontriamo o scansiamo nella quotidianità dei rapporti – competenti/ignoranti e incompetenti/saggi e accorti individui, solleciti a “capire” le vicende e caratteristiche dei tempi. Spicca, per diffusione e gravità di effetti, l’ignoranza del passato, il restringersi all’oggi, alla labile immediatezza del presente. Allora l’ignoranza – come assai spesso si è avvertito in queste prose della domenica – si esprime nel più arbitrario occasionalismo, nel decidere senza il lume del passato e senza un balenio di eventi futuri.
Soltanto “occasioni”, contingenti scelte, suggerite da labili alleanze o da patti che hanno ormai perduto significato storico e gravano con il loro peso sul destino dei popoli. È l’occasionalismo, scambiato per prontezza d’istinto o libertà di scelta, ed invece ha soltanto il grigio volto dell’ignoranza attiva. Talvolta gli uomini – al pari di quei nobili napoletani, di cui narra Gino Doria nella sua storia della Capitale – se ne compiacciono e adornano come di rara virtù e privilegio di casta. Ignoranza per snobismo, come della signora che non leggeva libri per non sciupare i languidi occhi.
Non l’einaudiano «conoscere per deliberare», ma il sussiego arrogante del «deliberare senza conoscere»: dove il conoscere, per quel che si è sopra detto, è la intuizione storica e la sapienza della vita umana. La vera antitesi sta, non nel sapere tecnico o nella competenza funzionale, ma nell’intelligenza, in questa attitudine a capire, a entrare dentro le cose e gli uomini prima ancora che essi si mostrino del tutto. Il “leggere dentro” è un prendere in se, un farsi diverso per i rapporti avuti con altri, spinto fino al grado estremo dell’amore. La semplice e densa massima di Goethe mette in allarme dinanzi allo sfrenato attivismo di uomini di governo, che, ignari di storia e spogli di sapienza, si dimenano nella quotidiana occasionalità. E dichiarano, con modeste e consunte parole, piani per il futuro; esercitano zelo servile verso potenze straniere; reiterano uggiose professioni di fede. Mai sul loro labbro la parola direttrice, capace di interpretare le vicende del tempo e di accendere un qualche spiraglio nelle tenebre del futuro. Ne nasce così nostalgia per la castigata serietà degli autentici statisti, per il grave riserbo delle scelte decisive, per il capire che sa dominare le cose, e non se ne lascia possedere nell’immediatezza del loro accadere.
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