SBAGLIANDO SI IMPARA

I pregi di una cultura aziendale di accettazione dei tentativi che falliscono

Occorre terreno fertile affinché l’innovazione rappresenti una “metodologia” intrinseca e naturale e non prescrittiva e circoscritta

di Gianluca Rizzi *

(AFP)

3' di lettura

Molti osservatori si sono spesso riferiti a questo momento storico caratterizzato dalla pandemia di Covid-19 come a un vastissimo esperimento politico, economico e sociale “a cielo aperto”. In altri termini, siamo tutti stati messi in una situazione che ci sta costringendo, nostro malgrado, a sperimentare condizioni di vita quotidiana estreme e, semmai volessimo fare il tentativo di vederci del buono, ad affrontare uno scenario che ci consente di mettere alla prova anche le nostre abilità. Responsabilità, resilienza, antifragilità rappresentano parole sentite già molte volte e si riferiscono ad approcci che abbiamo introdotto reattivamente e inconsapevolmente.

Un’altra dinamica che abbiamo adottato senza troppi complimenti è quella del try&learn. Sperimentare, tentare correndo il rischio di sbagliare e commettere errori con l’obiettivo ultimo di apprendere e quindi migliorare. Questo approccio non solo è sempre auspicabile ma rappresenta addirittura uno dei meccanismi atavici attraverso cui sperimentiamo il mondo per conoscerlo, apprendere e, in ultima istanza, innovare.

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Eppure, non sempre tutto questo rappresenta davvero l’agito nelle organizzazioni aziendali che, al contempo, perseverano nel chiedere ai propri collaboratori di innovare.Ma come è possibile innovare se non si respira una autentica cultura aziendale di accettazione dei tentativi che falliscono?

A tal proposito Reed Hastings, il fondatore di Netflix, racconta di quando mentre era a Ginevra per un convegno, ascoltava la conversazione tra due CEO, rispettivamente di aziende di articoli sportivi l’uno e abbigliamento l’altro, mentre erano al bar. Lo colpì il racconto di quello che dirigeva l’azienda di articoli sportivi: pare che una sua manager avesse avuto l’idea di una pista di rollerblade da impiantare direttamente nei negozi per attirare i giovani consumatori, abituati ormai all’e-commerce. La stessa manager, a furia di pensare all’idea e alla sua realizzazione, si convinse del fatto che fosse troppo costosa e rischiosa fino ad abbandonarla nel giro di pochi minuti dopo averla avuta.

I vincoli? Il timore dell’errore e il dubbio che l’idea potesse non piacere al suo responsabile. L’altro CEO raccontò invece di avere istituito il venerdì dell’innovazione, ovvero un tempo da dedicare espressamente all’innovazione, a disposizione di tutti, il quinto giorno della settimana. Hastings cita questo episodio nel suo ultimo libro “L’unica regola è che non ci sono regole: Netflix e la cultura della reinvenzione”, scritto a quattro mani con Erin Meyer, come pretesto per ribadire che all’interno di Netflix viene data la possibilità ai dipendenti di realizzare le proprie idee.

Questo li solleva dai vincoli sopra citati: il timore dell’errore e il dubbio di non essere approvati. Con quei vincoli la loro capacità di innovare non troverebbe nessuna possibilità di espressione.Questo aneddoto ci insegna almeno due cose relative al cosiddetto approccio try&learn, ovvero alla capacità non solo di “tollerare” l’errore ma addirittura di accoglierlo come un’imperdibile e quindi preziosa occasione di apprendimento: la necessità di generare un contesto che faciliti e stimoli momenti di sperimentazione continua affinché l’innovazione possa essere costantemente a portata di mano; non si può pensare di chiedere ai collaboratori di “innovare” solo il venerdì, come se questo giorno della settimana fosse particolarmente proficuo!

Occorre terreno fertile sempre, tutti i giorni della settimana, affinché l’innovazione rappresenti una “metodologia” intrinseca e naturale e non prescrittiva e circoscritta; un atteggiamento favorevole da parte dei responsabili i quali, in virtù del ruolo formale che rivestono nelle aziende, potrebbero più o meno involontariamente inibire il processo di innovazione continua; disapprovare le proposte dei propri collaboratori o scoraggiare le loro iniziative significa renderli maggiormente avversi al rischio e quindi più propensi a non pensare autonomamente e a non agire, con tutte le conseguenze del caso.

L’accettazione dell’errore e il suo utilizzo come fonte di apprendimento è quindi di fatto una questione culturale, ovvero legata anche al mindset delle persone nelle organizzazioni; la manager che partorisce un’idea innovativa e la censura nel giro di pochi minuti è molto probabile che percepisca nel contesto in cui opera una forte pressione derivante dalla paura di essere stigmatizzata, finendo così col preferire l’inazione.

Ma questo per certi versi è umanamente comprensibile, tenendo però una cosa molto bene a mente: le persone non sono terrorizzate dall’errore in sé, quanto dall’idea della disapprovazione sociale e umana a cui vanno incontro nel caso di un errore. Affrancarli da quella pressione significa facilitare una naturale propensione ai tentativi, necessari per evolvere.

* Partner di Newton S.p.A.

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