I prezzi di CO2 alle stelle minacciano la svolta verde
Oggi al mercato Ue delle emissioni una tonnellata di anidride carbonica costa in media 85 euro e rallenta la decarbonizzazione
di Natascia Ronchetti
3' di lettura
In quarant'anni ha fatto passi di gigante, diventando un settore portabandiera della manifattura italiana sostenibile. Ora, però, una brusca frenata alla corsa green dell’industria della ceramica potrebbe essere impressa dal meccanismo innescato dal sistema Eu Ets (Emission trading system), uno dei principali strumenti su cui si fonda la politica dell’Unione europea per contrastare i cambiamenti climatici, riducendo in maniera economicamente efficiente le emissioni in atmosfera di anidride carbonica.
Quando è stato istituito, una quota di emissioni - ognuna delle quali corrisponde a una tonnellata di C02 - costava circa 5-6 euro. «Quest’anno il prezzo è schizzato a una media di 85 euro e l’anno prossimo la quotazione potrebbe anche raddoppiare – dice Franco Manfredini, vice presidente di Confindustria ceramica, con delega all’energia -. Un’impennata che costituisce un grosso ostacolo alla competitività del nostro settore, che vive di esportazioni in tutto il mondo.
Con l’aggravante che la Commissione europea ha escluso la produzione ceramica dal novero dell’industria energivora a cui spettano compensazioni. Da tempo protestiamo con le istituzioni nazionali ed europee affinché sia posto un rimedio a questo errore. Ma oggi la situazione è così grave da spingere le imprese a mettere persino in discussione la propria sopravvivenza e a valutare anche l’ipotesi di procedere con delocalizzazioni produttive». Una crisi innescata anche dalle speculazioni finanziarie che si muovono intorno al sistema, operativo oggi in 31 Paesi (oltre agli Stati Ue, l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia) e basato sul principio del «cap and trade», con il quale viene fissato un tetto o limite che stabilisce la quantità massima che può essere emessa dagli impianti produttivi: entro questo limite le imprese possono acquistare o vendere quote di emissioni in base alle loro esigenze. Vale a dire che le imprese che non ricevono quote di emissione a titolo gratuito - o in cui le quote non sono sufficienti a coprire le emissioni prodotte - devono acquistarne all’asta o da altre imprese. Viceversa, chi ha quote di emissioni in eccesso rispetto a quelle prodotte, può venderle. A questa difficoltà si sommano le tensioni sul prezzo del gas generate dal conflitto tra Russia e Ucraina. «Con la prospettiva di delocalizzazioni, al danno si aggiunge la beffa – prosegue Manfredini –. Perché la produzione della ceramica italiana potrebbe essere dirottata in Paesi con una legislazione a tutela dell’ambiente molto meno avanzata di quella italiana ed europea».
L’impasse - che tanto sta preoccupando i produttori di ceramica - si inserisce nel contesto di un settore che per quanto riguarda la tutela dell’ambiente ha saputo ritagliarsi un ruolo da protagonista nel panorama manifatturiero nazionale, dotandosi anche della Dichiarazione ambientale di prodotto. Una certificazione volontaria, all’insegna della massima trasparenza, che quest’anno è stata realizzata da Confindustria Ceramica con i dati di 76 aziende per un totale di 84 stabilimenti. E dalla quale emerge il miglioramento delle performance delle imprese sul piano della sostenibilità. I numeri confermano che la rotta è tracciata. Oggi la percentuale di abbattimento dell’emissione di polveri da parte delle imprese del settore è pari al 99% (13 anni fa era al 50%). L’autoproduzione di energia elettrica – grazie a 30 impianti di cogenerazione e alla rete fotovoltaica – ha raggiunto il 48,5%. Inoltre, ormai il 97% degli stabilimenti non scarica acqua di processo mentre la percentuale di recupero ha raggiunto il 107%: significa che ci sono fabbriche che usano più acqua di scarto di quella che producono, assorbendola anche da altri siti produttivi. Anche per quanto riguarda la logistica i risultati sono brillanti.
Il 24% della materia prima e del prodotto finito è trasportato su ferro, percentuale che è più del doppio di quella media nazionale. Mentre sono pari al 74% del totale gli impianti con consumi energetici inferiori al valore associato all’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, secondo i parametri stabiliti dal Bats, il documento della Commissione europea che indica limiti emessivi e performance energetiche. Anche il forte investimento in ricerca e sviluppo e innovazione contribuisce al miglioramento: la produzione sempre più spinta verso piastrelle e lastre con spessori sottili consente di ridurre del 30-40% le emissioni di anidride carbonica. Un salto di qualità è stato poi fatto con il fotovoltaico: gli impianti – 33 alla fine del 2022 – quest'anno saliranno a 58: un incremento del 75%, con un forte balzo della capacità produttiva, che raggiungerà il 120% in più.
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