ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùRegionalismo differenziato

I rischi per la crescita di una eguaglianza che punta in basso

Qual è lo stato di salute del regionalismo? È largamente condivisa l’opinione che sia precario. Se non di tutte le Regioni, di molte di esse. E non da ora.

di Mario Bertolissi

(© Zoonar/Iryna Volina)

3' di lettura

Qual è lo stato di salute del regionalismo? È largamente condivisa l’opinione che sia precario. Se non di tutte le Regioni, di molte di esse. E non da ora. Da quanto tempo si è in attesa della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, dei costi e dei fabbisogni standard? Se si eccettuano i Livelli essenziali di assistenza (Lea) e qualcos’altro, dalla legge delega sul federalismo fiscale: legge dello Stato, che risale al 2009, dal medesimo non attuata. Ma qual è la condizione di salute dello Stato? Preoccupante, stando al Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). A quando, secondo il Pnrr, la chiusura dei lavori del Tavolo tecnico per l’attuazione del federalismo fiscale, istituito presso il Mef? È rinviata alla fine del primo quadrimestre del 2026.

Stando ai fatti, non si riesce a venire a capo di nulla. La Repubblica subisce costantemente lo scacco dell’inerzia, dal momento che – come ha notato Raffaele La Capria – «tutte le idee muoiono a Roma. Qui non è la politica a servirsi della burocrazia, ma la burocrazia a esprimersi come politica». È l’ostacolo, che si è trovato di fronte pure l’autonomismo differenziato (previsto dall’articolo 116, 3° comma, della Costituzione), il quale sta per registrare un passo avanti. A breve, se ne occuperà il Consiglio dei ministri, all’esito del lavoro via via compiuto dai ministri Erika Stefani, Francesco Boccia e Mariastella Gelmini. Su impulso di tre Regioni, che, nel loro insieme, generano oltre il 40% del Pil.

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Politici e alti burocrati hanno l’obbligo costituzionale di prendere sul serio questi dati. Perché debbono comprendere qual è la forza normativa dell’articolo 97 della Costituzione, che impone, come regola priva di eccezioni, il buon andamento e la buona amministrazione. Perché equivale a un rafforzamento delle capacità produttive del Paese consentire alle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto di operare utilizzando ogni loro potenzialità, come è già ripetutamente emerso in sede di confronto tecnico tra le delegazioni ministeriali e regionali. A conferma del fatto che solo la concretezza risolve i problemi, mentre le pregiudiziali astratte li complicano. Dunque, un passo dopo l’altro, all’insegna della leale collaborazione.

Sotto questo profilo, le Regioni che, per prime, hanno avviato il processo di attuazione dell’articolo 116, 3° comma, della Costituzione, non hanno avanzato alcuna obiezione, quando si è deciso di provvedere, attraverso l’attribuzione di risorse comparativamente superiori (si tratta della riserva del 40%), a un riequilibrio tra Nord e Sud. Semmai, alcune Regioni del Meridione sono state meno reattive del dovuto: ad esempio, quanto agli asili nido. Tuttavia, la speranza è che il divario si riduca progressivamente. Ciò che va evitato, però, è che questo risultato si ottenga negando alle tre Regioni ciò che la Costituzione promette e consente. Si tratterebbe di una eguaglianza al ribasso.

Deve prevalere l’ottica di chi non si attarda sulle questioni di carattere giuridico-formale che rischiano di impedire il da farsi. Va letta in questa prospettiva la bozza di disegno di legge-quadro, che Mariastella Gelmini si accinge a sottoporre al Consiglio dei ministri.

Estromesso il Parlamento perché un ruolo di spicco avrà soltanto la Commissione parlamentare per le questioni regionali? No, dal momento che il disegno di legge dovrà essere deliberato dalle Camere a maggioranza assoluta. E l’assenso – dovuto a un semplice sì – imporrà di per sé un negoziato sostanziale vero e proprio con le Camere. Le Regioni sono le prime a essere interessate al loro positivo riscontro. Rimangono in sospeso o sono incerti gli adempimenti relativi ai Livelli essenziali nelle prestazioni (Lep), a ciò che attiene ai costi e ai fabbisogni standard e alla fiscalità? In passato, non ha mai rappresentato una garanzia la predeterminazione puntuale di un adempimento. Non sarà eluso – comunque sia definito in un testo normativo – se politica e burocrazia lo vorranno. Ancora, quale parametro, la spesa storica? Così pare abbia deciso lo Stato, per ragioni che nulla hanno a che fare con le Regioni. E si potrebbe continuare.

Ciò che la Repubblica non può più permettersi è di rimanere inerte: di non scegliere. È accaduto così finora, con danno proprio delle Regioni del Sud. Come rende palese la storia del regionalismo, lunga ormai più di cinquant’anni. Regionalismo pensato dal Costituente per riformare lo Stato. Non sarebbe ora, finalmente, di cominciare, magari in assoluto non nel migliore dei modi, lasciando che, chi sa fare, operi nell’interesse generale, piuttosto che polemizzare circa una ipotetica “secessione dei ricchi”, che equivale a una pura e semplice pietrificazione dell’esistente, caratterizzato da ineguaglianze e inefficienze? Le obiezioni alla bozza del disegno di legge-quadro Gelmini sono espressione di una strutturale impotenza, che determina una sterilità assoluta.

Già professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Padova e componente della Delegazione trattante per la Regione Veneto

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