I social generalisti sul viale del tramonto
Digitale. Le reti sociali tradizionali si confrontano con cambiamenti importanti. A partire dalla GenZ che preferisce comunità piccole e segmentate
di Giampaolo Colletti
3' di lettura
«Chiama i tuoi nonni, non sono per sempre». Da una vecchia cabina telefonica – una delle ultime presenti nelle nostre città iperconnesse, retaggio di un passato analogico – potrebbe passare la nuova era dei social media. Perché proprio un messaggio scritto su una cabina in una via del centro storico di Torino è riuscito a fare il giro del mondo e dei social. A metterlo nero su bianco è stato Greg Goya, venticinquenne artista torinese, in tasca un diploma al liceo classico e una laurea in giurisprudenza.
Il suo approdo nell’ultimo anno è stato verso l’arte di strada, che lui stesso chiama fast. «In un secolo in cui è tutto veloce – compreso il nostro modo di vivere e lavorare – anche la mia arte diventa usa e getta e si consuma velocemente. Queste mie creazioni vengono distrutte da agenti atmosferici, dall’usura dei materiali utilizzati, dalle stesse persone e creano un’emozione immediata», afferma Goya.
Uscire dagli schermi e dagli schemi, riappropriandosi degli spazi pubblici. In fondo è quello che fa Goya per le strade e per le piazze. «I social media mi hanno dato un lavoro, permettendomi di fare arte e di rompere il muro di un mondo spesso elitario. Le mie creazioni nascono per stare sui social perché si rifanno a quelle regole. Ma quello che faccio è anche una critica perché va in strada in un rapporto fisico col pubblico. Insomma, i social sono un punto di inizio e non di approdo. Tutto finisce nel mondo reale», dice Goya.
E se fosse così anche per i nostri consumi digitali, oggi filtrati dagli schermi miniaturizzati degli smartphone in una navigazione senza soluzione di continuità? Che qualcosa stia cambiando in modo irreversibile lo si coglie da diversi segnali. Intanto ci sono le nuove generazioni di utenti con quella Z che reinterpreta i contatti in modo selezionato, mirato, addirittura chiuso in tribù che diventano bolle talvolta autoreferenziali. Si passa a post privati di comunità più piccole e segmentate, che stridono con i popolosi feed inondati di contenuti creati professionalmente dagli influencer. Tutto sembra più ristretto, protetto, persino privato. L’ha segnalato anche il «New Yorker» in una copertina che è diventata virale, guarda caso proprio sui social. In primo piano c’è Monna Lisa che si copre il volto per ripararsi da foto e selfie. «Abbiamo bisogno di recuperare una nuova autenticità allontanandoci dai palcoscenici autoreferenziali. Perché in fondo dietro quel volto iperfotografato ci siamo tutti noi che proviamo a sottrarci dall’attenzione dei social», ha detto Anita Kunz, illustratrice canadese autrice della cover. E allora i social stanno agonizzando? Per Ian Bogost assolutamente sì, come ha scritto su The Atlantic. «Ora che siamo approdati su questa nuova spiaggia, possiamo guardarci indietro. Invece di facilitare l’uso delle connessioni esistenti – in gran parte per la vita offline – i software sociali hanno trasformato quelle connessioni in un canale di trasmissione latente e all’improvviso miliardi di persone si sono viste come celebrità, esperti e creatori di tendenze», ha scritto Bogost. Per John Kim, co-fondatore e ceo di SendBird – chat aziendale di ultima generazione adottata da più di 250 milioni di lavoratori – Facebook è stato punito dagli investitori per il suo piano decennale di costruzione del metaverso, mentre Twitter è in una fase di demolizione controllata da parte di Elon Musk.
Una crisi dei social storici colta anche da Derrick de Kerckhove, sociologo di fama mondiale da molti anni in Italia, professore di antropologia al Politecnico di Milano per la scuola di design. «I social hanno dato un contributo molto rilevante al protagonismo degli utenti, ma ora in ballo c’è qualcos’altro. Siamo di fronte a una nuova trasformazione della partecipazione: quello che si richiede oggi anche a questi colossi tecnologici che rappresentano queste piattaforme è una maggiore trasparenza e autenticità. Oggi le persone cominciano ad avere meno fiducia nelle piattaforme e provano a creare le loro comunità. C’è un’atomizzazione dei social, anche se continuano comunque a restare rilevanti. In qualche modo sta avvenendo una redistribuzione delle platee online verso nuove dinamiche di consumi digitali», afferma de Kerckhove. La chiave resta l’engagement, ma declinato in modo diverso. «La partecipazione segna l’esperienza anche delle nuove generazioni, ma a questa si somma l’attenzione ai temi ambientali e sociali che vedono una spiccata sensibilità proprio dei giovani», precisa de Kerckhove. Così la partita potrebbe spostarsi su nuove piazze virtuali, più ristrette e più agguerrite. Insomma, il futuro dei social media è molto meno social: è questa la recente tesi del «New York Times». Si tratta di partecipazioni a gruppi numericamente più esigui, ma maggiormente significativi come tasso identitario e di coinvolgimento proprio per i giovanissimi. Tutto passerà ancora dagli smartphone con servizi a valore aggiunto, ma i protagonisti di questa nuova fase – i nuovi Mark Zuckerberg – devono ancora essere individuati.
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