I social media provano a cambiare i modelli di business
Il #socialmediaday è l’occasione per fare il punto della direzione che stanno studiando le principali piattaforme social, dopo aver privilegiato le conversazioni e l’intrattenimento guardano
di Ma.l.C.
4' di lettura
Da luogo digitale di conversazione informale e orizzontale a piattaforme di intrattenimento a, domani, sistemi misti in cui la componente marketplace sarà rilevante I social media affinano il proprio modello di business cercando di andare oltre l'alta capacità di generare profitti che la personalizzazione della pubblicità ha garantito loro, sin dalla nascita prima e dall’affermazione di Facebook. Gli algoritmi, con le loro formule segrete e in continua evoluzione, sono il fattore critico che determinano l'operatività dei social. E la ricerca nuove strade, con tentativi non sempre efficaci e la ricerca di un'identità ancora tutta da costruire.
Basti pensare alle incursioni di Mark Zuckerberg nel metaverso, apparse ai più un'eccessiva fuga in avanti, o all'acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, strapagata per stessa ammissione del nr.1 di Tesla e SpaceX. O all'evoluzione di Instagram che prima ha di fatto cannibalizzato Snapchat per poi competere con l'emergente TikTok. Profitti, contenuti e dati degli utenti, su cui si gioca la partita più accesa per le autorità locali in epoca di deglobalizzazione, che negli Usa in alcuni casi sono intervenute contro il social cinese proprietà di ByteDance, nel timore di una fuga dei dati degli utenti statunitensi verso la Cina.
Modelli di business
Da quando Elon Musk ha messo Twitter nel mirino per poi acquisirlo per la cifra monstre di 44 miliardi di dollari, l’attenzione si è concentrata sull’evoluzione di quel modello di business dei social centrato sulla pubblicità personalizzata in base alle abitudini social degli utenti, che nei lustri passati ne avevano decretato il successo. Anche perchè l’acquisizione ha prodotto pesanti conseguenze: General Mills e General Motors hanno interrotto o ridotto la pubblicità a pagamento e gioco forza il board ha dovuto concentrarsi sullo sviluppo di nuovi modelli di collaborazione. Un’evoluzione che potrebbe portare Twitter a diventare un marketplace, secondo alcuni, in grado di ingaggiare i partner commerciali su una dimensione differente dall’attuale (anche se per il momento l’emergenza è riconquistare la pubblicità).
Ma il tema è al centro della strategia di altri soggetti, con una sorta di tiktoketizzazione dei contenuti che rende Instagram e Facebook sempre più simile alla piattaforma cinese che ha l’effetto di omogeneizzare contenuti e format, per conquistare e trattenere la fetta di pubblico più consistente. Una strategia che rafforza l’omofilia delle reti e quel confirmation bias che da sempre caratterizza i social.
Differente invece il caso di LinkedIn, piattaforma professionale che proprio per fornire a ciascun utente un punto di vista originale, sviluppa con il suo algoritmo la condivisione di contenuti dialettici, che privilegiano punti di vista differenti, invece di confermare la dieta informativa dell’utente.
Il consumo dei social
Che il consumo di social media sia centrale – talvolta eccessivo – nella vita degli individui lo confermano molte statistiche: secondo una statistica di SmartinsIghts usa i social media oltre la metà della popolazione globale, il 58,4%, pari a 4,62 miliardi di persone. In media l'utilizzo giornaliero è di 2 ore e 27 minuti. In Italia sono 44 milioni su 58 di popolazione complessiva, per un'ora e 48 minuti al giorno, in crescita rispetto al passato.
La permanenza dei consumatori sulle piattaforme è, com'è intuibile, un fattore cruciale del loro business e i contenuti così come la loro strutturazione è finalizzata a rimanere il più possibile in visione di quei contenuti, con tutte le conseguenze del caso: la riduzione della capacità di concentrazione degli individui o la ridefinizione dei messaggi in ottica social, come nei caso della comunicazione politica. Oltre ovviamente all'utilizzo di queste piattaforme dei cybercriminali che cercano di acquisire le password e le identità degli utenti social, rivendendole a un fiorente mercato nero, a scopo di ricatto.
Alti e bassi dell’informazione
E l’informazione? Per anni merce pregiata e quantitativamente rilevante sulle timeline dei follower, le news sui social ha subito un drastico declino, con gli algoritmi che oggi le snobbano privilegiando altri tipi di contenuti di minor impegno, per l'utente così come per le piattaforme. La vicenda Cambidge Analytica ha rappresentato il discrimine di questa parabola: la diffusione di contenuti falsi su Facebook da attivisti pro-Trump prima ha distorto l'esito elettorale negli Usa, analogamente a quanto accaduto nel Regno Unito con il referendum sulla Brexit. Da lì è nata la difficile lotta delle piattaforme contro le fake news, la crescita della sensibilità in materia che ha portato ad una crescita del debunking negli anni più recenti.
Ma che non è in grado certo di impermeabilizzare l'ecosistema digitale social da notizie false e contenuti propagandistici di parte, com'è accaduto nel conflitto russo-ucraino. E poi, oltre al tema dei dati, c'è quello dei diritti che gli editori provano da anni a vedersi riconoscere dai social su cui sono presenti, tra tentativi e scontri. L'ultimo vede sui fronti opposti il Canada che vuole imporre ai colossi del web di pagare per la pubblicazione di notizie giornalistiche, e Meta – proprietaria di Facebook e Instagram – che vi si oppone e che ha oscurato le news sulle sue piattaforme per non sottostare all'Online News Act.
loading...