I tagli di produzione sauditi non scaldano il petrolio
Il Brent dopo una breve fiammata torna a scambiare intorno a 77 dollari al barile ma con la nuova stretta decisa da Riad e il riordino delle quote Opec l’offerta rischia di non bastare
di Sissi Bellomo
4' di lettura
Forse le quotazioni del petrolio torneranno ad infiammarsi nei prossimi mesi. Ma non l’hanno fatto all’indomani del vertice Opec Plus: una riunione tesa e difficile, che ha evidenziato parecchi contrasti all’interno del gruppo, ma che si è comunque conclusa con la proroga dei tagli produttivi fino a tutto il 2024 e con l’annuncio da parte dell’Arabia Saudita di un’ulteriore stretta unilaterale da un milione di barili al giorno. Una mossa aggressiva, alla quale però il mercato ha reagito in modo straordinariamente composto. Il Brent a inizio seduta è balzato di circa il 4%, fino a quota 78,72 dollari al barile, ma poi ha chiuso pressoché invariato, poco sopra 77 dollari. E anche il Wti, dopo essersi spinto a 75 dollari, ha ripiegato sotto 73 dollari.
L’azione ieri era piuttosto sui mercati europei del gas, improvvisamente tornati in tensione, con il prezzo al Ttf che si è impennato di oltre il 20% – il rialzo più forte dallo scorso marzo – fino a superare 29 euro per Megawattora. In questo caso l’Opec Plus non c’entra, o comunque c’entra poco: a inizio giornata può esserci stato un parziale effetto contagio, visto che molti contratti per il gas liquefatto (soprattutto in Asia) sono indicizzati al petrolio. Il timore di fondo riguarda comunque i carichi spot di Gnl, per cui potrebbe riaccendersi una competizione pericolosa, in grado di sottrarre al Vecchio continente forniture ormai divenute indispensabili. Tra aprile e maggio l’export via gasdotto dalla Russia è diminuito dell’11% stima S&P Global Platts (a 1.76 miliardi di metri cubi). Nel frattempo la Commissione Ue ha deciso di non prorogare le misure d’emergenza introdotte per schermare i consumatori nel periodo più duro della crisi energetica.
La direzione dei prezzi nei prossimi mesi dipenderà in gran parte dall’evoluzione della domanda, tanto nel caso del gas (per cui l’Europa ha realizzato forti risparmi, ma non tutti strutturali) quanto nel caso del petrolio. Per quest’ultimo la maggior parte degli esperti – compresi quelli al servizio dell’Opec – si aspetta consumi record nel 2023, superiori a 100 milioni di barili al giorno, con una crescita che dovrebbe accelerare nella seconda metà dell’anno. A quel punto i nodi creati dall’Opec Plus rischiano di venire al pettine: l’offerta potrebbe rivelarsi troppo scarsa, costringendo a dare fondo alle scorte e potenzialmente scatenando forti rincari e una nuova fiammata dell’inflazione. Qualche analista, tra cui quelli di ANZ Research, prevede che il Brent possa superare 100 dollari al barile a fine anno.
Da Vienna non sono arrivate notizie rassicuranti: gli ulteriori tagli sauditi sommati a quelli già molto aggressivi dei mesi passati e a un riordino delle quote produttive all’interno dell’Opec ridurranno (almeno sulla carta) l’offerta di greggio di ben 4,7 milioni di barili al giorno a partire da luglio, quasi il 5% della capacità globale. L’aspetto più rilevante è però l’atteggiamento sempre più radicale assunto dall’Arabia Saudita, che ormai sembra davvero pronta a tutto pur di sostenere il prezzo del barile a un livello elevato, probabilmente almeno 80 dollari, che è valore necessario per sostenere il bilancio statale secondo il Fondo monetario internazionale.
Il principe Abdulaziz bin Salman, pur evitando come sempre ogni riferimento esplicito ai prezzi, è stato molto chiaro: «Faremo qualunque cosa sia necessaria per portare stabilità a questo mercato», ha dichiarato domenica a Vienna. Il taglio extra da un milione di barili al giorno – che sarà effettuato a luglio, con possibile proroga su cui Riad afferma di voler «creare suspence» – ridurrà la produzione di greggio del Paese ad appena 9 mbg, il minimo da due anni. Una mossa drastica, che secondo Capital Economics potrebbe provocare una contrazione dello 0,5% del Pil saudita quest’anno (contro una crescita dell’1% attesa in precedenza). Riad rischia inoltre di perdere quote di mercato, soprattutto in Asia dove soffre la feroce concorrenza degli “alleati” russi, pronti a svendere il greggio che non riescono più esportare in Europa.
Abdulaziz bin Salman ha definito il taglio saudita «un lecca lecca», offerto agli altri membri dell’Opec Plus: frecciata velenosa rivolta a una coalizione che evidentemente ormai considera simile a un gruppo di bambini capricciosi. Riad anche stavolta è riuscita in qualche modo a rimetterli in riga. Ma ci sono volute faticose trattative, tanto difficili da costringere a rinviare l’inizio del vertice di oltre sei ore. Dei probabili screzi con Mosca – che esporta senza curarsi degli alleati e che non ha effettuato i tagli di produzione promessi – non è emerso nulla. Ma il malumore è filtrato eccome quando a Vienna si è trattato di ridistribuire le quote produttive su cui calcolare i tagli. Gli Emirati arabi uniti – che in passato avevano bloccato i lavori di un vertice sul tema delle quote, oltre a minacciare dietro le quinte di lasciare l’Opec Plus – hanno ottenuto un nuovo incremento di 200mila bg, che porta la quota assegnata a 3,2 mbg. Altri Paesi, tra cui la Nigeria e l’Angola, hanno però dovuto accettare obtorto collo una riduzione della quota. Un destino che potrebbe toccare anche alla Russia, che ha accettato di sottoporsi a una verifica indipendente dei livelli di produzione.
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