I Talebani a Kabul: il patrimonio culturale afghano è di nuovo a rischio?
A lanciare l'allarme è stato il direttore del Museo Nazionale dell'Afghanistan Mohammad Fahim Rahimi, che teme conseguenze peggiori di quanto accaduto nel 2001. In pericolo i siti e gli artefatti e la diversità di un patrimonio culturale intangibile
di Roberta Capozucca
4' di lettura
A 20 anni di distanza da una delle manifestazioni di distruzione culturale più scioccanti del XXI secolo, i talebani sono tornati a Kabul sollevando nuove preoccupazioni sul futuro del patrimonio culturale di tutto l'Afghanistan. Era il marzo 2001, quando i seguaci fondamentalisti di un islam iconoclasta, ordinarono la distruzione dei Buddha di Bamiyan, tra i monumenti scultorei più impressionanti al mondo nonché, per dimensioni, i più grandi esempi di statue di Buddha in posizione eretta ricavate dalla roccia. L'evento rappresenta ad oggi una delle perdite culturali più gravi dopo la seconda guerra mondiale, anche in considerazione del fatto che si è trattato di un atto deliberato, denunciato successivamente come un crimine di guerra. Ma, sebbene sia l'evento più eclatante della follia di un fondamentalismo ignorante di certo non è l'unico. All'esplosione delle due enormi statue, una di 38 e una di 53 metri, che durò circa un paio di settimane seguirono 20 anni di distruzioni e razzie ai principali siti archeologici afghani, tra cui Ai Khanoum, Balkh, Jam e il suo minareto a Mes Aynak.
Oggi, la maggiore preoccupazione è per il Museo Nazionale dell'Afghanistan, che dallo scoppio della guerra civile nel 1992 è stato vittima di continui saccheggi e che, dopo aver perso circa il 70% dei suoi artefatti, a partire dal 2007 aveva ricominciato a rimettere assieme la sua ricchezza con operazioni di recupero e restituzione internazionale. Con 80.000 reperti in mostra risalenti alle dinastie persiane, buddiste e islamiche, è uno dei musei più importanti e rappresentativi dell'Asia Centrale. “Siamo molto preoccupati per la sicurezza del nostro personale e delle nostre collezioni“, ha dichiarato subito dopo la resa di Kabul il direttore del Museo Nazionale dell'Afghanistan Mohammad Fahim Rahimi, che solo tre mesi fa riaccoglieva al Museo 33 reperti dal valore di 1,8 milioni di dollari, appartenenti al bottino del disgraziatamente noto commerciante d'arte newyorkese Subhash Kapoor.
Le preoccupazioni della comunità internazionale
Tra le organizzazioni internazionali che hanno subito preso una posizione sui rischi che corre il patrimonio culturale afghano in questa situazione di caos c'è l'ICOM (International Council of Museums) che in una dichiarazione ufficiale si è detta particolarmente allarmata per le minacce che la popolazione civile sta ricevendo e si auspica, a differenza del passato, che le autorità in carica facciano rispettare gli obblighi internazionali presi in merito al patrimonio culturale. L'Afghanistan, in quanto Stato aderente alla Convenzione dell'Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali e della Convenzione dell'UNESCO del 1970 sull'importazione, l'esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali, ha l'obbligo di fronte alla comunità internazionale di proteggere il suo patrimonio culturale.
Proprio su questo tema, si è espressa Audrey Azoulay, Direttore Generale UNESCO, che in una dichiarazione sembra aver offerto un chiaro spunto di riflessione alla compagine talebana sottolineando l'importanza strategica del patrimonio culturale nelle trattative internazionali: “Qualsiasi danno o perdita del patrimonio culturale avrà solo conseguenze negative sulle prospettive di pace duratura e di aiuti umanitari per il popolo afghano nel breve periodo”.
Chi sono i nuovi Talebani?
Vincitori della guerra civile che aveva seguito la ritirata sovietica nel 1996, i Talebani governarono l'Afghanistan fino al 2001 quando l’attacco americano post 11 settembre li fece capitolare. In quei cinque anni, l'Emirato divenne sinonimo di brutalità e privazione dei diritti umani a seguito di una rigidissima interpretazione della legge coranica. Per chiedersi quali sono i rischi che oggi corre il millenario patrimonio afghano, simbolo del crocevia di popoli e culture che qui vissero, bisogna dunque comprendere con chi abbiamo a che fare e se i nuovi Talebani sono realmente diversi da quelli di 20 anni fa.
Già a febbraio 2020, quando l'esercito americano aveva iniziato a lasciare il paese sotto l'amministrazione Trump, come ha riportato il National Geographic, i fondamentalisti islamici affermavano di aver istruito i membri del gruppo al fine di proteggere, monitorare e preservare i beni culturali, fermare gli scavi illegali e vietare la vendita degli artefatti sul mercato nero. Ma in questo racconto a due facce, che nella narrazione degli avvenimenti delle ultime settimane sembra essere ormai diventato il format standard di interpretazione della realtà, già in quel febbraio Noor Agha Noori, direttore dell'Istituto Archeologico dell'Afghanistan, denunciava attività di saccheggio, confermando che a dispetto delle conferenze stampe concilianti e degli abiti ripuliti forse i Talebani non erano poi così cambiati.
L'ultima dichiarazione ufficiale sul tema del patrimonio culturale risale al 16 agosto quando, in una nota sul quotidiano russo Moskovskij Komsomolets, i talebani assicuravano che non ci fosse da temere e che i siti buddhisti non erano a rischio. Ma anche in questo caso, le parole di rassicurazione si sono scontrate con la realtà dei fatti e con i volti delle donne cancellate dai manifesti pubblicitari per le strade di Kabul: una sorte che presto potrebbe toccare anche a molti altri linguaggi di espressione e di estetica contemporanea che proprio nella capitale erano tornati a rifiorire, come i murales dell'artista Shamsia Hassani che sui social sono diventati simbolo del sostegno alla lotta per i diritti umani del popolo afghano.
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