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I tassi mandano in orbita gli utili delle banche. Quando torneranno sulla terra?

Gli effetti delle mosse delle Banche centrali e il costo del rischio (ancora) ridotto regalano un semestre dai profitti record agli istituti italiani. Ma gli analisti scrutano dubbiosi oltre l’orizzonte e cercando di capire se e quanto a lungo sarà sostenibile la dinamica favorevole al settore del credito.

di Maximilian Cellino

4' di lettura

Una vera tempesta perfetta, almeno una volta in termini positivi, è quella che ha investito nel primo semestre del 2023 le banche italiane, pronte a sfruttare i venti che hanno soffiato (quasi) tutti in poppa per realizzare risultati mai visti in passato e forse difficilmente ripetibili in futuro. I bilanci diffusi nei giorni scorsi non ammettono repliche: i sei principali istituti di credito italiani, che messi insieme raggiungono oltre il 60% delle attività del sistema del credito nazionale, hanno incrementato gli utili in media di oltre il 60% rispetto a un anno prima portandoli a superare gli 11 miliardi di euro.

I due venti che soffiano in poppa

La «congiunzione astrale» favorevole per le banche italiane è legata soprattutto a due fenomeni, attesi soltanto in parte almeno per le dimensioni con cui si sono manifestati: il brusco aumento dei tassi di interesse che ha fatto lievitare e perfino raddoppiare in qualche caso il margine di interesse (+56% a quasi 19 miliardi nel semestre per il perimetro indicato in precedenza) e l'altrettanto drastica riduzione del costo del rischio (nello stesso periodo gli accantonamenti per perdite su crediti si sono in modo speculare ridotti del 57% a 1,5 miliardi) per la tenuta anche questa in parte inaspettata di imprese e famiglie in uno scenario sempre più complesso fra inflazione, caro-tassi e rallentamento economico.

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Le banche italiane sono tra quelle posizionate in maniera migliore per trarre vantaggio dal momento grazie ai loro attivi particolarmente legati ai tassi variabili

Prometeia Lea Zicchino

L'impatto del ritorno in grande stile dei tassi interesse dopo anni di «magra» caratterizzati addirittura da valori negativi accomuna tutti i protagonisti del credito in Europa e nel resto del mondo avanzato. «Le banche italiane sono tra quelle posizionate in maniera migliore per trarre vantaggio da questo fenomeno grazie ai loro attivi particolarmente legati ai tassi variabili», segnala tuttavia Lea Zicchino, senior partner e responsabile practice analisi mercati e intermediari finanziari di Prometeia, che spiega invece con due ragioni distinte la contemporanea riduzione del costo del rischio. «Se da una parte - chiarisce l'analista - in Italia le famiglie a basso reddito e quindi più rischiose sono in realtà poco indebitate con prodotti indicizzati, mentre le imprese risultano più patrimonializzate rispetto al passato, hanno incrementato gli utili e accumulato liquidità che può essere utilizzata come cuscinetto in una situazione simile, dall'altra i valori del primo semestre 2023 si confrontano con quanto accantonato lo scorso anno in via prudenziale, soprattutto da alcune banche, a causa della guerra in Ucraina».

Valutazioni ancora contenute

Quali siano le cause, il risultato è un livello di redditività misurato dal Roe (Return On Equity) che secondo le stime di Prometeia è quasi raddoppiato nel giro di 12 mesi per il sistema finanziario italiano, per le banche commerciali dal 7,1 al 13,7%, e che ha portato a una rivalutazione soltanto parziale dei titoli delle banche in Borsa, visto che il rapporto fra prezzo e utili (P/e, price/earning) staziona ancora su livelli anomali attorno alle 6 volte rispetto a medie storiche comprese fra 10 e 12. Come spesso avviene, chi investe in Borsa ha infatti già le antenne puntate sul futuro e si chiede se e quanto l'exploit appena vissuto sia sostenibile: non per niente i movimenti dei giorni scorsi dopo la diffusione dei bilanci hanno risposto più alle indicazioni fornite dai manager (la cosiddetta guidance) che ai dati pur sorprendenti riferibili però all'immediato passato.

I benefici che derivano da tassi elevati si faranno sentire anche nella seconda parte del 2023, che sarà senza dubbio un anno d'oro, ma l'attenzione si concentra ormai sull'anno successivo

Intermonte Alberto Villa

«I benefici che derivano da tassi elevati si faranno sentire anche nella seconda parte del 2023, che sarà senza dubbio d'oro, ma l'attenzione si concentra ormai sull'anno successivo perché un certo adeguamento della remunerazione dei depositi alla clientela sarà inevitabile - ammette Alberto Villa, responsabile dell'Ufficio Studi di Intermonte - e anche la raccolta sui mercati dei capitali diventerà più cara». Le tempistiche del rallentamento non sono tuttavia ancora chiare, se il picco degli effetti sui margini sia cioè ormai già alle spalle, sia previsto nei prossimi mesi (come si attende la media degli analisti) o possa ulteriormente protrarsi nel 2024: «La possibilità del settore di sovraperformare ancora rispetto al resto del mercato - aggiunge Villa - dipende soprattutto da questo».

Sull'altro aspetto del costo del rischio pare in fondo aleggiare maggiore ottimismo: «Per quanto un rallentamento dell'economia sia da mettere in conto esiste sempre uno scarto temporale compreso fra i 6 e i 12 mesi con l'emersione dei crediti dubbi in bilancio e l'impatto non si vedrà quindi prima del 2024», concede l'esperto di Intermonte, pronto anche a segnalare il fatto che con gli ingenti accantonamenti effettuati post-Covid e scoppio della guerra in Ucraina e finora non utilizzati «le banche italiane si sono create una sorta di tesoretto da utilizzare per calmierare un eventuale aumento del livello delle sofferenze». Prometeia prevede sotto questo aspetto un possibile raddoppio del costo del rischio dall'attuale livello estremamente contenuto attorno 35-40 punti base fino a quote attorno i 70 punti a fine anno e 81 nel 2024 che risultano di gran lunga inferiori a quanto registrato in occasione di precedenti crisi.

Il nodo delle commissioni

Un altro possibile cuscinetto potrebbe arrivare dalla possibile ripresa delle commissioni nette, l'unica voce tendenzialmente in negativo per i bilanci delle banche per il combinato effetto della riduzione delle masse gestite rispetto all'inizio del 2022, della perdurante volatilità presente sui mercati (soprattutto obbligazionari) e della concorrenza spietata che il risparmio amministrato (in particolare i titoli di Stato dai rendimenti di nuovo elevati anche a breve termine) esercita su prodotti più remunerativi. Il tutto a disegnare un quadro che pare assomigliare a un «atterraggio morbido» dai livelli stratosferici raggiunti nel semestre appena terminato: «Gli istituti di credito italiani hanno in passato dimostrato di saper gestire un periodo davvero complesso caratterizzato da tassi negativi e sofferenze elevate, ne sono usciti rafforzati e questo li rende adesso più solidi adesso», riconosce Zicchino, che invita però a non cullarsi sugli allori. «Ci sono ancora margini per ridurre i costi, occorre investire sempre di più nella digitalizzazione per migliorare i servizi ai clienti e non si può escludere un ulteriore consolidamento all'interno del settore per chi vuole trarre vantaggio da economie di scala», conclude l'esperta di Prometeia. Gli esami per le banche del nostro Paese non finiscono evidentemente mai.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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