Partygate, Boris Johnson si salva dalla sfiducia in casa Tory
Il premier incassa 211 voti a favore e 148 contrari, una quota che fa temere per la stabilità della sua leadership
di Nicol Degli Innocenti
I punti chiave
3' di lettura
Salvo ma non al sicuro: Boris Johnson ha vinto il voto di fiducia lunedì sera, ottenendo il sostegno di 211 deputati conservatori contro i 148 che volevano le sue dimissioni. Avendo superato la soglia minima di 180 deputati a favore nello scrutinio segreto, il 50% più uno, il premier britannico resta in sella ma con un partito sempre più diviso e un'opinione pubblica sempre più contraria.
In linea con le regole, il voto era scattato dopo che 54 deputati conservatori, oltre la soglia del 15% del totale, avevano scritto una lettera di sfiducia nel premier.
Johnson: vittoria «decisiva»
La sua vittoria è stata di misura, ma Johnson l'ha definita «decisiva», ringraziando i suoi sostenitori e invitando sia il partito che il Governo a tornare uniti per «voltare pagina e concentrarci sulle cose importanti che interessano davvero alla gente».
Nelle ultime settimane lo scandalo sulle feste illecite a Downing Street durante i lockdown è tornato sulle prime pagine in seguito alla conclusione dell'indagine della Metropolitan Police, che ha multato Johnson e la moglie, e al rapporto di Sue Gray. L'alta funzionaria incaricata di fare luce sul “partygate” ha dipinto un quadro devastante dell'ufficio del premier durante la pandemia, con numerose feste illegali, consumo di alcolici e violazioni delle regole. Da allora un numero sempre crescente di deputati conservatori ha preso le distanze da Johnson.
Il premier ha rivendicato la sua buona fede
Il premier si era scusato, dichiarandosi «deluso e disgustato» dalle rivelazioni del rapporto ma continuando ad insistere che lui personalmente aveva sempre agito in buona fede. Una violazione delle regole involontaria lo avrebbe messo al riparo dall'accusa di avere deliberatamente mentito al Parlamento quando aveva negato che ci fossero state feste illecite a Downing Street. Una tale violazione del codice ministeriale comporterebbe infatti le dimissioni.
Molti deputati conservatori però, tra i quali molti sostenitori di Brexit ex fedelissimi del premier, non gli hanno creduto. Come lo “zar anti-corruzione”, John Penrose, che lunedì ha dato le dimissioni per protesta contro la violazione del codice e ha esortato il premier a fare altrettanto. Sempre lunedì, il premier ha incontrato i Tories per persuaderli che un cambio al vertice durante una crisi economica e con una guerra in corso in Ucraina sarebbe destabilizzante, mentre il voto è«un'opportunità d'oro» per voltare pagina e risolvere i veri problemi del Paese.
«Vi porterò di nuovo alla vittoria e i vincitori saranno i cittadini di questo Paese», ha promesso Johnson ai suoi, convincendone abbastanza per superare l'ostacolo del voto di fiducia.
Il premier però ha vinto senza convincere. I critici hanno subito sottolineato che ha ottenuto meno voti a favore di Theresa May, che nel 2018 era sopravvissuta a un voto di fiducia ma senza mai riconquistare l'autorevolezza necessaria. Pochi mesi dopo era stata costretta alle dimissioni.
Un percorso difficile
Johnson non ha alcuna intenzione di lasciare l'incarico volontariamente, ma il percorso resta molto accidentato per lui. La situazione economica è difficile, con l'inflazione ai massimi da quarant'anni e un aumento del costo della vita che penalizza soprattutto i meno abbienti. La fiducia dei consumatori è ai minimi storici e non si prevedono spiragli a breve. Lo scandalo ha danneggiato la sua popolarità, come si è visto in modo clamoroso nell'ultimo fine settimana di festeggiamenti per il Giubileo di platino della Regina Elisabetta II, quando la folla lo ha fischiato.
I sondaggi confermano che il 60% dei cittadini ha perso la fiducia in lui e vorrebbe un nuovo leader. Il “partygate” inoltre non è finito: è ancora in corso un'inchiesta parlamentare che dovrà stabilire se Johnson ha mentito deliberatamente al Parlamento negando ogni violazione delle regole.
Le divisioni all'interno del partito conservatore vanno oltre la gestione dello scandalo: molti deputati non condividono la linea dura contro l'Unione europea e la minaccia di abrogare unilateralmente il Protocollo irlandese, che temono possa avere ripercussioni negative sia economiche che politiche per la Gran Bretagna. Altri, pur sostenendo maggiori controlli sull'immigrazione, sono contrari alla decisione del Governo di spedire gli immigrati illegali in Rwanda senza possibilità di appello o di ritorno. I primi voli partiranno la settimana prossima.
La settimana prossima si terranno inoltre elezioni in due circoscrizioni che sono sempre state Tory ma che, secondo i sondaggi, cambieranno bandiera passando all'opposizione. La duplice sconfitta sarebbe un altro duro colpo per Johnson, che ha costruito la sua fortuna politica con l'immagine di “grande vincente”. Il premier resta al potere ma fortemente indebolito. Si prevede che nei prossimi giorni opti per un rimpasto di Governo per premiare i fedeli e rafforzare la sua posizione all'interno del partito, ma dovrà tirare fuori tutte le sue doti di politico convincente per recuperare consensi sia tra i Tories che tra gli elettori.
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