I tre ostacoli tra l’Europa e una crescita solida, sostenibile e inclusiva
di Odile Renaud-Basso
5' di lettura
Con l’inizio del 2022, l’economia globale è costretta ad adattarsi al nuovo status quo. Non sarà un processo rapido o indolore. Il mondo sta affrontando gravi perturbazioni causate da collegamenti commerciali interrotti, dall’impennata dei prezzi energetici e dai mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Da un lato molti negozianti hanno chiuso le serrande, aumentando la disoccupazione, dall’altro si è registrata una significativa carenza di ingegneri informatici e autisti di camion.
Molti di questi cambiamenti sono stati causati, o accelerati, dalla crisi del Covid-19. Ma non illudiamoci: non si tornerà alla normalità pre-pandemia. La crisi porterà un cambiamento profondo e duraturo. Guardando all’anno a venire, dobbiamo prepararci ad affrontare tre sfide principali.
Rischi macroeconomici in crescita
Una delle maggiori domande per i prossimi mesi sarà: stiamo entrando in una nuova era di inflazione? E come gestiremo gli alti livelli di debito pubblico e privato? Nel corso del 2020 in molte economie in cui opera la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), il debito pubblico è salito ai livelli dell’inizio degli anni ’90. In alcuni Paesi ha raggiunto i massimi storici. La mancanza di spazio fiscale e monetario, insieme alle barriere per l’accesso ai vaccini e agli effetti di ricaduta negativi delle economie avanzate, potrebbero aumentare la divergenza tra i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo.
L’azione dei governi nazionali, dalla mobilitazione di finanziamenti per i pacchetti di sostegno economico all’organizzazione di campagne di vaccinazione di massa, è stata indispensabile per rispondere alla pandemia. E per porre fine alla crisi, la fiducia nei programmi di sanità pubblica e nella sicurezza e nell’efficacia dei vaccini anti-Covid sarà importante quanto i vaccini stessi.
Tuttavia, per tornare a una crescita sostenibile e alla sostenibilità di bilancio a lungo termine, dovremo liberare la forza produttiva dell’imprenditorialità. Qui il settore privato dovrà svolgere un ruolo cruciale.
La sfida climatica
La pandemia ha evidenziato la vulnerabilità, ma anche la resilienza, del nostro ordine economico globale. Può essere visto come un duro promemoria dei crescenti pericoli di fattori non economici causati o esacerbati dai cambiamenti climatici.Secondo l’ultimo report stilato dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, il riscaldamento globale dovrebbe raggiungere o superare 1,5° Celsius, rispetto ai livelli preindustriali, nei prossimi 20 anni, con una serie di conseguenze, tra cui condizioni meteorologiche estreme più frequenti e intense, quali ondate di calore, tempeste, siccità e altri eventi distruttivi, e stagioni calde più lunghe.
La transizione verso l’azzeramento delle emissioni non è solo un obiettivo ideale, è una necessità. Quanto più velocemente i Paesi gestiranno questa transizione, tanto più competitivi rimarranno, e meno perturbazioni sociali ed economiche subiranno.
A tal fine, sarà essenziale mobilitare finanziamenti privati. Secondo la nostra nuova strategia, la Bers sta lavorando per raddoppiare le risorse dedicate ai finanziamenti per il clima entro il 2025; prevediamo anche un raddoppio delle risorse private. Inoltre, i finanziamenti green rappresenteranno oltre il 50% del nostro volume d’affari annuo entro il 2025. E a partire dal 2023 tutte le nostre operazioni saranno allineate agli obiettivi stabiliti nell’accordo sul clima di Parigi.
Nella lotta al cambiamento climatico dobbiamo fare affidamento su meccanismi di mercato comprovati, come il carbon pricing. I mercati devono essere ben regolamentati, ma gli enti di vigilanza non devono soffocare la capacità di innovazione o la propensione al rischio del settore privato. Allo stesso modo, non devono ostacolare l’uso efficiente delle risorse, che gioca a vantaggio sia dell’ambiente che della crescita economica. È il settore privato che sa come generare i necessari guadagni di produttività.
I progressi tecnologici consentono di compiere progressi reali verso il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi. Ma questo progresso avrà un prezzo. La transizione green non deve ripetere gli errori degli ultimi decenni, quando la globalizzazione commerciale e finanziaria ha lasciato molti indietro.
Risposte efficaci alle sfide dell’intera società richiederanno il consenso dell’intera società. Più siamo spaccati e polarizzati, più difficile sarà ideare e attuare soluzioni. Negli ultimi anni abbiamo assistito alle conseguenze politiche della crescente disuguaglianza e polarizzazione. Gli elettori che non possono guadagnarsi da vivere e provvedere alla propria famiglia votano come se non avessero nulla da perdere.
La transizione green può avere successo solo se sarà una transizione giusta. Servono quindi disposizioni a sostegno di coloro i cui mezzi di sussistenza sono maggiormente colpiti durante la trasformazione. A breve termine, il sostegno finanziario diretto deve far parte dell’equazione. A medio e lungo termine, offrire una formazione continua di qualità e opportunità di lavoro appetibili, indipendentemente dal background o dal genere, deve essere prioritario.
Perturbazione digitale
La rapida digitalizzazione dell’economia richiede un approccio simile. I lockdown dettati dalla pandemia hanno accelerato le tendenze irreversibili sul posto di lavoro e nell’economia in generale, come l’ampia accettazione di accordi di lavoro da casa, l’adozione dell’intelligenza artificiale su scala nettamente crescente e l’adozione diffusa dell’e-banking. Una media del 96% dei consumatori delle economie avanzate ora utilizza metodi di pagamento digitali.
E la trasformazione del settore bancario, del commercio al dettaglio e di molti altri settori è appena iniziata. Le reti e i sistemi di misurazione intelligenti, ad esempio, sono destinati a dare un contributo enorme al miglioramento dell’uso di risorse limitate. Saranno alla base delle città intelligenti del futuro.
Garantire che le innovazioni tecnologiche promettenti siano sviluppate e implementate in modo responsabile richiede un quadro normativo forte, competitivo e trasparente. E richiede un ampio accesso ai servizi tecnologici. Le prove raccolte dagli economisti della Bers mostrano come la crisi del Covid-19 abbia ampliato il divario digitale. Questa è un’area in cui un investitore come la Bers può intervenire. Ed è esattamente quello che intendiamo fare.
Le dinamiche politichee il ruolo del multilateralismo
Le crescenti tensioni geopolitiche e la diffusione del populismo pongono una seria sfida ai modelli economici e ai valori fondamentali delle democrazie occidentali e al multilateralismo. In questo contesto, le istituzioni multilaterali devono, e possono, fungere da moderatori.
Le gravi e persistenti difficoltà che i Paesi a basso reddito hanno dovuto affrontare nell’ottenere i vaccini anti-Covid mostrano quanto sia difficile garantire l’uguaglianza e l’equità a livello globale. Ma l’accordo di quest’anno su un’aliquota minima globale dell’imposta sulle società è la prova che il multilateralismo può dare risultati. La rapida fornitura di liquidità ai Paesi in difficoltà durante la pandemia evidenzia ulteriormente il potere del multilateralismo. Con un investimento record di 11 miliardi di euro nel 2020, la Bers è stata in grado di dare un contributo importante in questo senso.
La pandemia ha anche dimostrato che le istituzioni multilaterali per lo sviluppo in grado di guidare la riforma delle politiche, come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, possono aiutare a creare le condizioni per gli investimenti del settore privato, cosa fondamentale per ridare dinamismo allo sviluppo dopo il Covid-19.
Una crescita solida, sostenibile e inclusiva è l’obiettivo condiviso da tutte le istituzioni multilaterali. Insieme ai nostri partner, noi della Bers stiamo assicurando l’alveo del fiume economico. Ma toccherà al mercato fare da traino per la ripresa e lo sviluppo.
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