I vantaggi delle società benefit: ecco i passi da fare per trasformare l’azienda
Un documento di 40 pagine elaborato dal team Esg di Pwc fa il punto sull’istituto giuridico introdotto in Italia con la legge di Stabilità del 2016
di Vitaliano D'Angerio
3' di lettura
Le società benefit hanno raggiunto quota 1.400 in Italia, triplicando il numero rispetto al 2020. È quanto emerge da uno studio del team Esg di Pwc. Quaranta pagine sull’innovativo istituto giuridico, introdotto con la legge di Stabilità del 2016. L’Italia è il primo paese in Europa ad aver approvato questa nuova forma di impresa che, si legge nel report, «potrebbe mirare a diventare il “new normal” societario, in quanto dovrebbe rappresentare il paradigma che naturalmente può meglio adattarsi al concetto di successo societario sostenibile anche con riferimento alle Pmi e non solo alle grandi organizzazioni».
La differenza con le BCorp
Lo studio Pwc mette subito in chiaro un punto molto importante: le società benefit sono cosa ben diversa dalle americane BCorp. «Nonostante vi siano degli elementi di
sovrapposizione – si legge nel documento –, è importante chiarire sin da subito come in Italia le società benefit differiscano dalle BCorp per una serie di caratteristiche. In particolare, le società benefit rappresentano una tipologia societaria prevista dall’ordinamento giuridico e complementare rispetto ai tradizionali modelli societari, mentre le BCorp conseguono una certificazione sulla base di uno standard definito da un’organizzazione non profit».
I requisiti per diventare una benefit
Quali sono in sintesi i requisiti per diventare una società benefit?
1 ) l’indicazione nell’oggetto sociale del beneficio comune perseguito, con un bilanciamento dell’interesse dei soci e del beneficio comune. «Se necessario, occorrerà modificare l’atto costitutivo o lo statuto a seguito dell’identificazione delle finalità del beneficio comune», viene spiegato nel testo di Pwc.
2) l’individuazione di uno o più soggetti responsabili (il “Responsabile del perseguimento del beneficio comune”) all’interno della società che si occupino del controllo del perseguimento delle finalità definite nell’oggetto sociale.
3) la redazione di una relazione annuale (anche “relazione di impatto”) sulle
modalità di perseguimento del beneficio comune, relazione che deve essere allegata al fascicolo di bilancio e pubblicata nel sito internet della società, se esistente.
Quale authority vigila sulle benefit
Chi vigila sulle società benefit? La legge italiana ha incaricato l’Antitrust (Agcm), agli onori della cronaca per la sanzione miliardaria ad Amazon, «in caso di mancato perseguimento del beneficio comune» da parte della società benefit. In tal caso infatti, la società avrebbe violato la disciplina in materia di pubblicità ingannevole (D.lgs. 145/2007) e del Codice del Consumo (D.lgs. n.206/2005).
«Tale disposizione è finalizzata ad impedire alle società che non perseguono gli obiettivi fissati nell’oggetto sociale di beneficiare dei vantaggi competitivi di cui godono le società benefit – viene spiegato – e, quindi, di indurre in inganno consumatori e altri professionisti». Questione di greenwashing dunque: anche in questo ambito bisogna vigilare sulle verniciate di verde.
Benefici fiscali
Oltre alla reputazione, la società benefit può migliorare anche i conti. «La normativa fiscale oggi vigente nell’ordinamento italiano – viene spiegato dagli esperti Pwc nel documento – offre unicamente un beneficio fiscale in sede di costituzione di una società benefit o di trasformazione di una società già esistente in tale forma».
E si aggiunge: «Tra i costi di costituzione o trasformazione sono compresi quelli notarili e di iscrizione nel registro delle imprese nonché le spese inerenti all’assistenza professionale e alla consulenza sostenute e direttamente destinate alla costituzione o alla trasformazione in società benefit».
La relazione d’impatto
Di fondamentale importanza la relazione annuale, detta “relazione d’impatto”. Siamo in ambito informazioni e qui sarebbe necessaria una standardizzazione delle comunicazioni per consentire agli analisti di confrontare dati omogenei. «Ad oggi – viene spiegato nel documento – gli standard di valutazione possono essere molteplici e non vi è chiarezza su cosa può essere formalmente inteso come standard di valutazione in senso stretto, distinguendolo da più generali framework di riferimento, metodologie di valutazione dell’impatto e standard di reporting, dando origine così ad ambiguità e difficoltà interpretative, nonché ad una forte eterogeneità nelle scelte operate dalle società benefit».
Conseguenza? «Ciò rappresenta inevitabilmente un limite in termini di comparabilità delle informazioni, a cui si aggiunge anche una limitata disponibilità di esse, dovuta alla mancanza, al momento,di un registro ufficiale delle società benefit che raccolga e metta a disposizione le diverse relazioni annuali».
Il futuro delle società benefit
«Le società benefit rappresentano un modello societario innovativo, in un contesto in cui la sostenibilità è entrata a pieno diritto nel vocabolario di imprese, istituzioni e cittadini – spiega Francesco Ferrara, partner PwC Italia e Esg leader –. Avviare una riflessione sulla transizione a società benefit può rappresentare un’occasione per focalizzare il “purpose” aziendale, la cultura dell’organizzazione e rivedere prodotti e processi, coniugando il profitto con la creazione di beneficio comune»
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