Ice, in nove mesi l’export italiano aumenta del 2,5%
Il presidente Carlo Ferro: «L’Italia ha fatto molto bene nel Regno Unito (+6,3%) e nel Belgio (+5,0%)». Tra i settori con performance positive ci sono il comparto degli articoli farmaceutici, dei prodotti alimentari e dei prodotti tessili e dell’abbigliamento
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«L’Italia tra gennaio e settembre 2019 ha fatto registrare un incremento dell’export pari al +2,5% (rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Questo risultato è stato trainato dall’ottima performance che abbiamo realizzato nei confronti dei paesi extra Ue (+3,9%), mentre nei paesi Ue l’export è cresciuto del 1,4%. Tale risultato evidenzia come le nostre imprese riescono ad intercettare di volta in volta i mercati e i segmenti più congeniali alle produzioni nazionali». Lo precisa Carlo Ferro, presidente dell’Ice, che ha presentato il Rapporto con Prometeia sull’evoluzione del commercio estero per aree e settori.
La presentazione del Rapporto
All’evento che si è tenuto oggi a Roma nella sede di Ice-Agenzia, hanno partecipato con il presidente Ferro, anche Alessandra Lanza, Partner di Prometeia, Manlio di Stefano, Sottosegretario agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale, Giorgio Merletti, Presidente di Confartigianato, Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti e Stefan Pan, Vicepresidente di Confindustria .
Export italiano in crescita in Cina
Stando ai dati, il successo dell’Italia sui mercati internazionali non è strettamente dipendente dal tasso di variazione assoluto degli scambi mondiali, ma dal saper intercettare di volta in volta i segmenti di domanda più congeniali alle produzioni nazionali. È il caso della Cina dove l’export italiano è cresciuto oltre la media dei concorrenti grazie all'evoluzione del consumatore cinese di Made in Italy che oggi è un consumatore assai più sofisticato e che sa valutare e premiare la qualità intrinseca dei beni. Una tale maturazione ha permesso negli ultimi 5 anni un aumento della quota italiana sia all’interno del sistema moda (dal 7,2% del 2013 al 9,1% del 2018) sia nel sistema casa (dal 10% al 18,8%). E questo processo si può estendere nell’immediato futuro ad altri due pilastri dell’offerta italiana: l’alimentare e la meccanica.
Le migliori performance
I paesi nei quali l’Italia ha fatto registrare la migliore performance dell’export nel 2019 sono il Giappone (+20,2%) paese nel quale a partire da febbraio è in vigore l’accordo di partenariato economico (EPA); la Svizzera (+9,4%) e gli Stati Uniti (+6,3%). Tra i paesi europei l’Italia ha fatto molto bene nel Regno Unito (+6,3%) e nel Belgio (+5,0%).
I settori che si sono distinti
Ferro ha spiegato che «tra i settori con performance positive ci sono il comparto degli articoli farmaceutici (+30%); quello dei prodotti alimentari (+7,0%) e dei prodotti tessili e dell'abbigliamento (+6,0%), mentre abbiamo faticato in settori quali gli apparecchi elettrici (-3,6) e i prodotti in legno (-2,2%). Tale ragionamento non vale per i mezzi di trasporto i quali seppur settore di specializzazione dell’export italiano hanno fatto registrare una riduzione dell’export del -5%. Tale comparto è però soggetto ad una forte crisi a livello globale».
Collaborazioni industriali
Il Rapporto poi evidenzia una ulteriore opportunità legata al rafforzamento del presidio italiano all’estero collegata alla Cina. Questa passa dalla collaborazione industriale tra le imprese dei due paesi in paesi terzi e, più in generale, dalla possibilità per l’Italia di entrare con le proprie specializzazioni premium dove l’offerta mass market cinese ha già fatto da apripista, come nel caso dei mercati africani o di paesi lungo la via della seta.
La guerra dei dazi
Un meccanismo analogo può nascere dalla guerra dei dazi. Se il protezionismo rimane per il commercio internazionale un gioco a somma negativa, ciò non significa che singoli paesi e settori non presentino qualche opportunità dalla rottura di equilibri consolidati, provocata dall’aumento improvviso dei dazi. Nel caso del vino per esempio i dazi compensativi colpiscono Francia e Spagna, i principali concorrenti esteri dell'Italia sul mercato USA con una quota rispettivamente del 34% e del 6%. È chiaro che un loro indebolimento competitivo a causa dei maggiori oneri doganali, potrà accelerare l’aumento già in corso della quota italiana, arrivata al 30% nel 2018.
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